I reati in materia di stupefacenti
Sommario:
- 1=Introduzione.
- 2=La difesa dall’accusa di spaccio di sostanze stupefacenti. Il problema della “cannabis light“.
- 3=La contestazione dell’illecito amministrativo.
1=Introduzione.
E’ doveroso ricordare che in Italia le sostanze stupefacenti possono essere assunte solo per finalità terapeutiche e dietro prescrizione medica, oppure prodotte in presenza di un’autorizzazione del Ministero della sanità.
Costituisce illecito amministrativo l’uso personale di sostanze stupefacenti; è invece sanzionato penalmente chiunque produce, spaccia o detiene tali sostanze. Conseguenze penali per l’assunzione di droghe si registrano anche in tema di circolazione stradale, per la cui regolamentazione si rinvia alla trattazione specifica.
Questa è la posizione del nostro ordinamento e con essa è necessario confrontarsi, anche se può essere considerata “discutibile“.
Dopo tale premessa si ricorda che la principale fonte normativa per gli illeciti penali in tema di stupefacenti è il d.p.r. n. 309 del 9.10.1990 (testo unico stupefacenti TUS) e in particolare gli articoli 73 e 75.
L’impianto normativo si basa sul cosiddetto “sistema tabellare“, nel senso che l’identificazione di “sostanza stupefacente” soggetta alle restrizioni normative è rimessa all’autorità amministrativa e al relativo inserimento in un apposito elenco. Al momento sono previste 5 tabelle, allegate al testo unico e le condotte più gravi sono sanzionate per le sostanze presenti nella tabella prima sulle “droghe pesanti” e la tabella terza per le sostanze medicinali equiparate ai fini sanzionatori alle droghe pesanti.
A titolo esemplificativo si indicano le possibili opzioni difensive in seguito alla contestazione dello spaccio di sostanze stupefacenti, mentre nell’ultimo paragrafo è trattata la contestazione dell’uso personale, sanzionato solo a livello amministrativo.
2=La difesa dall’accusa di spaccio di sostanze stupefacenti.
Il più grave reato previsto in tema di stupefacenti è quello della messa in vendita; a tale condotta sono inoltre equiparate, ai fini sanzionatori, la produzione e la detenzione.
Nell’eventualità in cui le prove raccolte dall’accusa non lasciano spazi ad una contestazione, si suggeriscono le seguenti opzioni difensive.
=Uso personale.
Ai fini difensivi si tratta preliminarmente di valutare, se il quantitativo rinvenuto sia comunque riconducibile ad un uso personale, in quanto tale comportamento è soggetto solo a sanzioni amministrative.
A tal fine si tiene conto delle seguenti circostanze, richiamate dall’art. 75 co. 1 bis lett. a) del TUS: a) la quantità di sostanza stupefacente o psicotropa che non sia superiore ai limiti massimi indicati con decreto del Ministro della salute; la modalità di presentazione, quale il peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato, ovvero ad altre circostanze dell’azione, da cui risulti che le sostanze sono destinate ad un uso esclusivamente personale; b) che i medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope elencate nella tabella dei medicinali, sezioni A, B, C e D, non eccedano il quantitativo prescritto.
Si è posta la questione se il superamento del parametro quantitativo dell’uso personale, indicato dalle autorità amministrative sia “in assoluto” impeditivo per la configurabilità dell’illecito amministrativo.
La giurisprudenza ha dato parere negativo, nel senso che i limiti indicati nei decreti ministeriali non costituiscono un dato che deve essere preso isolatamente per il giudizio in esame, in quanto è onere dell’interprete valorizzarli insieme agli altri elementi indicati dalla norma. Ovviamente l’accusa sarà agevolata nel provare la finalità dello spaccio quando il quantitativo è notevolmente superiore alla dose giornaliera indicata nei parametri ministeriali (Cass. pen., sez. III, n. 46.610 del 9.10.2014).
=La scorta personale e uso di gruppo.
Nel caso in cui il quantitativo rinvenuto sia superiore all’uso personale è possibile che comunque il fatto sia riconducibile all’illecito amministrativo per i seguenti motivi:
=1. perché l’acquisto di stupefacenti è finalizzato alla costituzione di provvista per il consumo privato. Tuttavia si puntualizza che in tal caso, se la difesa intende portare avanti questa tesi, deve fornire riscontri a tale scopo. A titolo esemplificativo, si ricorda l’assenza di mezzi per il confezionamento nel luogo del ritrovamento della sostanza e nel fornire documentazione che dimostri lo svolgimento di un lavoro da parte del soggetto accusato, che gli permette di essere economicamente autosufficiente e avere quindi un reddito per l’acquisto delle sostanze rinvenute.
=2. per l’ipotesi del “mandato all’acquisto” conferito ad un singolo membro di un gruppo da parte degli altri componenti. La giurisprudenza più esigente, però, per ritenere sussistente detta giustificazione richiede i seguenti riscontri: che l’acquirente sia uno degli assuntori e l’acquisto fin dall’inizio avvenga per conto degli altri, avendo gli stessi anche contribuito finanziariamente; l’accusato deve inoltre essere in grado di indicare i nomi degli appartenenti al gruppo che hanno fornito il mandato in questione.
=La derubricazione del reato nell’ipotesi meno grave di cui all’art. 73 co. 5 del d.p.r. n. 309 del 1990.
Nel caso in cui sia contestata l’ipotesi più grave di cui al primo comma dell’art. 73 TUS, è necessario valutare, se ci sono i margini per chiedere la derubricazione del reato, nell’ipotesi di “lieve entità” del quinto comma dell’articolo in questione; a tal fine è doveroso ricordare che costituiscono parametri di riferimento, espressamente richiamati dalla norma “i mezzi, le modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la quantità e qualità delle sostanze“.
In concreto, il fatto è considerato “lieve” quando è riconducibile al “piccolo spaccio“, il quale è desumibile dal mercato di riferimento circoscritto in cui opera l’interessato, dal limitato portafoglio di clienti e dal rinvenimento di modeste somme di denaro, che non sono certamente sinonimo di un traffico esteso e ben ramificato.
Si specifica che la derubricazione in questione è ammissibile anche quando il reato sia stato commesso da più persone in concorso, essendo possibile che si realizzi la cosiddetta “differenziazione dei titoli di responsabilità tra concorrenti“.
Si cita il caso di un trafficante professionista che ha alle spalle un’organizzazione internazionale di approvvigionamento di stupefacenti, il quale viene colto a gestire un mercato locale insieme ad altre persone. In tal caso è certamente possibile che alla prima persona sia contestato il reato più grave del primo comma dell’art. 73, mentre alle restanti l’ipotesi minore del quinto comma. Spetterà ovviamente al difensore valorizzare gli elementi che siano indice di tale differente responsabilità, al fine di ottenere per il proprio cliente la derubricazione in questione (Cass. pen., sez. Unite, n. 27.727 del 11.7.2024).
=La non punibilità per particolare tenuità del fatto per l’ipotesi di “lieve entità” ex art. 73 co. 5 del TUS.
Nel caso in cui il reato contestato sia il fatto di “lieve entità” secondo l’art. 73 co. 5 del TUS, è possibile che sia riconosciuta la “non punibilità” per “particolare tenuità” in virtù dell’art. 131 bis c.p.; in concreto, l’interessato non subisce conseguenze sanzionatorie e dopo 10 anni scompare il precedente anche dal casellario. Per l’applicazione di tale beneficio rilevano le modalità della condotta e il grado di colpevolezza da esse desumibile, l’entità del danno o del pericolo, nonché il carattere non abituale dello spaccio (Cass. pen., sez. III, n. 26.810 del 4.4.2023).
A titolo esemplificativo si riferisce un caso in cui ha trovato operatività la non punibilità in esame; in particolare, sono state ritrovate in un’abitazione alcune piante di canapa indiana e quindi non è risultato che la sostanza stupefacente rientrasse nelle tabelle I e III; inoltre si è accertata l’assenza di ulteriori denunce per altri reati relativi a sostanze stupefacenti e la mancanza di precedenti accertati con sentenza definitiva da cui desumere la destinazione delle piante al commercio illecito. Nel complesso, pertanto, il fatto non è stato ritenuto particolarmente grave e l’imputato è stato quindi ritenuto meritevole del beneficio (Cass. pen., sez. III, n. 23.520 del 30.1.2023).
=Definizione semplificata del procedimento: messa alla prova, lavoro di pubblica utilità, riti alternativi.
Nell’eventualità in cui le l’opzioni precedenti risultino inapplicabili, in via residuale, l’ordinamento offre soluzioni alternative che hanno la finalità di definire il procedimento in tempi brevi ed “in genere” sono idonee ad evitare la carcerazione. Tali opzioni sono i procedimenti speciali della messa alla prova, del lavoro di pubblica utilità, del patteggiamento e del rito abbreviato. Per la loro applicazione tuttavia è necessario prendere in esame il caso concreto e pertanto non riteniamo di aggiungere ulteriori specificazioni.
=”La confisca per sproporzione” in tema di stupefacenti.
In tema di conseguenze sanzionatorie, si ricorda che il riconoscimento della responsabilità per i reati in tema di stupefacenti, può comportare, secondo la previsione dell’art. 85 bis del Testo Unico, anche la “confisca per sproporzione“, la quale non ha per oggetto solo i beni derivanti direttamente dal reato contestato, ma tutti quelli di cui si dispone e non sia possibile giustificarne la legittima provenienza.
L’unico elemento a favore della difesa, su questa tematica è dato dalla prova a carico dell’accusa, della “ragionevolezza temporale“; infatti deve risultare che il momento dell’acquisto del bene di valore sproporzionato non deve essere eccessivamente distante dall’epoca di realizzazione del reato contestato.
Si deve aggiungere che l’istituto ha subito con il “decreto Caivano” un estensione di operatività; infatti per effetto di tale provvedimento anche la fattispecie di lieve entità di cui all’art. 73 co. 5 del Testo unico risulta oggi inclusa fra i reati presupposto della “confisca per sproporzione” in esame. Sull’estensione in questione, tuttavia, la giurisprudenza ha espresso una posizione abbastanza garantista; infatti si afferma che nel caso in cui sia contestato il fatto di lieve entità, ai fini della legittimità della “confisca per sproporzione“, è necessaria una motivazione “più penetrante“, in quanto la nozione di sproporzione è espressione di uno squilibrio che “tende a ridursi in presenza di somme e valori di modesta entità“. Spetterà in ogni caso alla difesa valorizzare tale orientamento, per escludere l’operatività della confisca di cui si tratta (Cass. pen., sez. IV, n. 18608 del 2024).
=”I benefici” penitenziari previsti per i tossicodipendenti.
Occorre ricordare che l’assunzione, nel tempo, di sostanze stupefacenti può portare a “dipendenza” e quindi costituire una grave problematica per la persona interessata e per chi si trova ad interagire con la stessa. Purtroppo, è inoltre possibile constatare che la patologia raggiunga un livello di “cronica” intossicazione tale che l’organismo è compromesso anche nelle fasi di astinenza. In tal caso, se la situazione è permanente, ci saranno sicuramente i margini per promuovere il difetto di imputabilità in termini di vizio di mente totale o parziale secondo gli articoli 88 e 89 c.p.
Escludendo l’eventualità “limite” in ultimo ricordata, si prende atto che il legislatore ha riconosciuto che la tossicodipendenza deve essere oggetto di attenzione in ambito applicativo della normativa penale, tramite una normativa che ne incentivi l’abbandono. A tal proposito, si ricordano le previsioni di cui all’articoli 89 e seguenti del TUS.
In particolare, si ricorda l’art. 90, che consente di evitare l’ingresso in carcere per condanne a pena detentiva fino a 6 anni (4 anni reati dell’art. 4 bis ord. pen.), se hanno per oggetto “reati commessi in relazione al proprio stato di tossicodipendenza“, qualora l’interessato si sia sottoposto, con esito positivo, ad un programma terapeutico e socioriabilitativo. Il provvedimento di sospensione ha durata 5 anni, al termine del quale il reato si estingue, se non sono stati commessi in questo arco temporale ulteriori illeciti. L’unico limite al beneficio in questione è che non può essere concesso “più di una volta” (art. 90 co. 4).
Inoltre merita ricordare l’art. 94 sull’affidamento in prova “in casi particolari“, il quale regolamenta la misura alternativa per il tossicodipendente che intende sottoporsi ad un programma terapeutico. In concreto, con la concessione del beneficio l’interessato non entra in carcere, se la condanna, anche in questo caso, a pena detentiva è inferiore a 6 anni o 4 anni per i reati dell’art. 4 bis ord. pen.
E’ evidente che l’assistenza di un difensore in questi casi è basilare ai fini della raccolta della documentazione e del relativo deposito per il potenziale accoglimento della richiesta.
=”Il problema della cannabis light“.
Una trattazione di ordine pratico e attuale in tema di stupefacenti ad oggi non può fare a meno di prende in esame la regolamentazione della cosiddetta “cannabis light“.
Il riferimento in materia è l’interpretazione suggerita da parte della Corte di Cassazione nella sua composizione più autorevole della legge n. 242 del 2016, la quale regolamenta appunto la coltivazione della “canapa sativa L.” (Cass. pen., sezioni Unite penali, n. 30475 del 30.5.2019).
Risulta che, secondo i giudici di legittimità, la commercializzazione di influorescenze diretta al pubblico di tale canapa integra i reati del Testo Unico sugli stupefacenti, a meno che i derivati siano “totalmente” privi di sostanza drogante. Il motivo di tale decisione si basa sul fatto che la legge del 2016 autorizza la coltivazione solo per scopi industriali cui è estranea vendita al pubblico; inoltre non vi sono motivi per un’interpretazione riduttiva del testo del TUS, che parla genericamente di “sostanze stupefacenti“, pertanto vi rientrerebbero anche quelle con un effetto minimo e marginale.
Con il “ddl sicurezza” dell’agosto 2024, che è stato oggetto di un clamore mediatico, a parere del sottoscritto, esorbitante, si riconosce semplicemente tramite un atto normativo l’orientamento in precedenza già espresso in sede interpretativa.
Chi scrive pertanto suggerisce che, per evitare contestazioni anche di ordine penale, di adeguarsi a tale indirizzo; ciò non esclude che in futuro sia prevista una regolamentazione sulla materia più permissiva, se “una diversa” maggioranza parlamentare modificherà i testi di legge in questione.
3=La contestazione dell’illecito amministrativo.
Per concludere, prendiamo in esame le conseguenze che possono scaturire dal “mero” uso di sostanze stupefacenti. In particolare risulta evidente che tale comportamento non ha rilievo penale ma solo amministrativo in virtù dell’art. 75 co. 1 del TUS.
Tale natura non deve far pensare all’esiguità delle conseguenze, infatti le stesse non sono certamente marginali, potendo comportare la sospensione della patente di guida, del porto d’armi e del passaporto per un periodo fino a tre anni.
Tuttavia si ricorda che nell’eventualità in cui sia la prima volta in cui si venga trovati in questa situazione, il procedimento può essere definito con il formale invito a non fare più uso delle sostanze stesse e con l’avvertimento delle conseguenze dannose e quindi, senza applicare alcuna sanzione (art. 75 ultimo comma del d.p.r. n. 309 del 1990).
Il procedimento si svolge sotto la direzione del Prefetto, il quale entro 40 giorni dalla segnalazione convoca l’interessato, con l’avvertimento di poter presentare una memoria difensiva, al fine di contestare le accuse e indicare una propria versione dei fatti.
A titolo esemplificativo, in tale memoria potrà essere indicato che le sostanze stupefacenti sono riconducibili a terzi e quindi l’accusa è infondata; in alternativa potrà essere valutata l’opportunità di sottolineare che il fatto è stato episodico e di particolare tenuità, al fine di circoscrivere i tempi per le sospensioni richiamate in precedenza.
E’ ovvio che dal punto di vista difensivo risulta conveniente sfruttare l’opportunità offerta, per contenere le conseguenze dell’accertamento e non subire limitazioni nella propria autonomia individuale.
In tema di concorso di persone nel reato di cessione di sostanze stupefacenti, il medesimo fattostorico può configurare, in presenza dei diversi presupposti, nei confronti di un concorrente ilreato di cui all’art. 73, comma 1 ovvero comma 4, del d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 e, neiconfronti di altro concorrente, il reato di cui all’art. 73, comma 5, del medesimo d.P.R.Cass. pen., sezioni Unite, n. 27727 del 11 luglio 2024