La responsabilità penale in ambito medico-sanitario
Sommario:
- 1=La responsabilità penale in ambito sanitario.
- 2=Il mancato consenso informato del paziente.
- 3=I rischi penali del personale infermieristico.
1=La responsabilità penale in ambito sanitario.
a) La colpa medica e l’omessa diagnosi differenziale.
L’esercizio della professione medica espone al rischio di dover affrontare un procedimento penale, nel caso in cui vengono commessi errori che provocano eventi lesivi a danno dei pazienti assistiti.
Le principali fattispecie contestabili sono i reati di lesioni o omicidio colposi, è quindi opportuno concentrarsi sull’ambito di operatività della colpa in quanto costituisce l’elemento basilare ai fini dell’integrazione di tali illeciti.
Il primo elemento da rilevare sulla tematica, riguarda l’impiego di semplificazioni probatorie, in base alle quali il rimprovero colposo è ritenuto sussistente sulla base del mero accertamento della violazione di una regola cautelare di condotta operativa nel settore di riferimento.
E’ ovvio che tale prassi non risulta condivisibile e si pone in tensione con il principio di responsabilità colpevole previsto dall’art. 27 della Costituzione.
Se viene rivelata, impone alla difesa di denunciarla e, avvalendosi anche dell’apporto di propri consulenti, è doveroso approfondire il caso, al fine di accertare se l’inosservanza della regola cautelare sia da ritenersi “rimproverabile” e quindi attribuibile per colpa al professionista.
La giurisprudenza suggerisce che il giudizio in esame deve essere necessariamente svolto in “concreto“, quindi valorizzando tutte le circostanze in cui il medico si è trovato ad operare, quali la natura e l’urgenza dell’intervento, gli strumenti di cui poteva disporre, il suo livello di specializzazione, di esperienza e infine la possibile disponibilità di colleghi per un consulto. In conclusione andrà ritenuto escluso ogni addebito colposo, se l’evento infausto subito dal paziente è stato imprevedibile e non evitabile.
L’argomento ha trovato applicazione sul tema della diagnosi “differenziale“, la quale sorge quando si presenta una sintomatologia che può essere dovuta a più cause alternative; in tal caso il medico deve procedere ad approfondimenti diagnostici finché non raggiunge la certezza sull’effettiva patologia del paziente. Infatti nel caso in cui rimanga invece fermo sulla diagnosi inesatta, si pone la questione se può essere ritenuto responsabile a titolo di colpa per l’evento dannoso subito dal paziente.
In linea generale si afferma che la diagnosi differenziale è certamente doverosa se risulta prevista dalle linee guida predisposte specificamente in relazione ai sintomi del paziente; in subordine, tale approfondimento può risultare necessario per la “specificità del caso concreto”, ad esempio, se l’iniziale quadro sintomatologico peggiora o il medico venga a conoscenza di ulteriori sintomi, dapprima non percepibili, che non sono compatibili con la diagnosi originaria (Cass. pen. sez. IV, n. 11651 del 8.11.1998).
La materia si presta a diventare particolarmente spinosa se viene presa con riferimento al medico che subentra nel turno. Infatti, secondo la giurisprudenza prevalente, chi succede nelle funzioni, ha l’onere di informarsi sulle condizioni cliniche di tutti i pazienti del reparto e di approfondire il loro quadro clinico; nel caso in cui venga meno a tale onere è evidente che il medico subentrante può essere chiamato a rispondere del fatto a titolo di colpa, per omessa correzione della diagnosi errata del precedente collega.
b) Il nesso di causalità.
Nell’eventualità in cui il giudizio sulla colpa risulti positivo, si ricorda che secondo le regole generali in tema di rapporto di causalità, per la configurabilità del reato contestato è comunque necessario accertare un nesso consequenziale tra la condotta appunto colposa del medico e l’evento infausto del paziente; in merito a tale accertamento il parametro di riferimento sono le leggi scientifiche e statistiche (art. 43 c.p.).
In particolare, si tratterà di ricostruire la dinamica del fatto (giudizio esplicativo) e successivamente di chiedersi se la condotta doverosa avrebbe o meno avuto effetti sulla realizzazione dell’evento (giudizio predittivo).
Il tema è strettamente connesso con l’interrogativo se ai fini del giudizio in questione incida anche la percentuale di sopravvivenza del paziente, nel caso in cui la diagnosi corretta fosse stata immediata con le conseguenti cure previste.
Per rispondere alla questione e rendere più facile la comprensione, riportiamo a titolo esemplificativo, un caso in cui un medico è stato ritenuto colpevole nei gradi di merito per omicidio colposo, in quanto non aveva diagnosticato tempestivamente una rara forma di tumore di cui era affetta una paziente di anni 26.
Ripercorrendo la vicenda, risulta che la donna si presenta all’imputato, specializzato in medicina dello sport, nel mese di dicembre 2013, lamentando un gonfiore nella coscia destra; il medico si limita a prescrivere delle sedute fisioterapiche ritenendo che la causa del problema fosse un mero trauma agonistico. Nei mesi seguenti però il gonfiore aumenta, finché nel mese del dicembre dell’anno successivo viene accertato “un sarcoma a cellule chiare” allo stadio III, il quale porta al decesso della paziente nel mese del maggio 2015, essendosi successivamente esteso ad altre aree del corpo. Il perito che viene chiamato per fare chiarezza sulla patologia, riferisce che la forma di tumore in esame è rara e particolarmente aggressiva, inoltre era posta anche in profondità tale da rendere comunque scarso l’effetto chemioterapico; specifica infine che una diagnosi tempestiva avrebbe comunque garantito una probabilità di sopravvivenza per la paziente non superiore al 25%.
In sede di legittimità si ritiene che i giudici di merito non si sono confrontati con tutti gli elementi riportati dall’indagini peritale, al fine di riconoscere se la diagnosi tempestiva del medico avesse o meno potuto ritardare il progredire della patologia e pertanto si è accolto il ricorso, annullando con rinvio la sentenza per un nuovo giudizio di merito.
In particolare, risulta ravvisabile nel medico una responsabilità colposa per negligenza e imprudenza, perché non ha approfondito il quadro clinico della paziente, nonostante il gonfiore non retrocedesse; tuttavia non è chiaro se sussista un nesso causale prossimo alla certezza tra l’evoluzione del tumore, il ritardo diagnostico e il decesso della donna, tale da poter stabilire se sarebbe sopravvissuta in caso di una diagnosi tempestiva (Cass. pen., sez. IV, n. 9705 del 22.3.2022).
In base agli elementi evidenziati risulta quindi che la percentuale di sopravvivenza del paziente, nel caso in cui il medico non tenga la condotta doverosa, non rileva “isolatamente” ai fini del riscontro del nesso di causalità, in quanto deve essere valorizzata in relazione al quadro complessivo della vicenda clinica.
c) La causa di non punibilità introdotta dalla legge Gelli-Bianco e lo scudo penale Covid.
Il sistema punitivo in ordine alla professione medico si è dimostrato alla prova pratica eccessivamente severo, incrementando vertiginosamente i procedimenti penali nei confronti della categoria, con riflessi non secondari in termini di efficienza dello stesso sistema sanitario; inoltre è stato incapace di limitare il fenomeno della “cd. medicina difensiva” e di essere compatibile con l’emergenza pandemica; tali problematiche sono state d’impulso per il varo dei seguenti interventi normativi.
In particolare si ricorda che con la legge Gelli-Bianco si è introdotto nel codice penale l’art. 590 sexies, il quale prevede la non punibilità per colpa solo per i fatti di lesioni od omicidio colposi in cui il medico si è attenuto alle linee guida più adeguate per il caso concreto, l’errore si sia realizzato nella fase del trattamento terapeutico e sia addebitabile alla sola imperizia lieve.
In ambito pandemico si registra l’introduzione del cosiddetto “scudo penale Covid-19“, il quale prevede la responsabilità penale solo per “colpa grave” per i fatti di lesioni od omicidio colposi commessi dal personale medico nello stato di emergenza (articoli 3 bis legge n. 76 del 2021 e 4 d.l. n. 215 del 2023).
Riteniamo di concentrarci sull’interpretazione della previsione dell’art. 590 sexies suggerita dalla giurisprudenza di legittimità, che costituisce un punto di riferimento per la materia (Cass. pen., sez. Unite, n. 8770 del 28.2.2018).
In particolare l’esercente la professione sanitaria può andare esente da pena nonostante sia in colpa, se ha correttamente formulato la diagnosi e scelto le linee guida pertinenti, ma per “colpa lieve” ha errato nella fase del trattamento terapeutico. Si specifica che la colpa è invece ritenuta grave nel caso di mancata applicazione delle cognizioni generali e fondamentali attinenti alla professione o nel difetto di quel minimo di abilità che ogni medico deve avere.
Nell’eventualità in cui il caso presenti particolare difficoltà o si versi in situazioni di emergenza, l’ambito di operatività della non punibilità benefica di un ampliamento, venendo letta in simbiosi con l’art. 2236 del codice civile secondo cui “se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave“.
Pertanto viene riaffermato il principio secondo cui la valutazione della colpa medica deve essere necessariamente effettuata in “concreto“, tenendo conto delle specifiche condizioni sorte nel momento di richiesta dell’intervento. Infatti se la patologia del paziente è stata particolarmente difficile da diagnosticare può costituire un valido motivo per giustificare l’errore, salvo l’ipotesi limite che sia dovuto a “colpa grave“, ossia per mancata applicazione delle norme fondamentali attinenti alla professione o nel difetto di quel minimo di abilità, perizia tecnica e diligenza che devono essere propri di chi esercita la professione.
2=Il mancato consenso informato del paziente.
In merito all’acquisizione del consenso informato nei confronti del paziente, è necessario rilevare che esso trova fondamento normativo nell’art. 1 della legge n. 219 del 2017, in base alla quale si richiede appunto che il consenso prestato dal paziente sia qualificabile come “informato“. In base a tale disposizione, il medico deve pertanto fornire al paziente una pluralità di informazioni in ordine alla natura del trattamento terapeutico cui intende procedere, rendendo consapevole il paziente delle prevedibili conseguenze derivanti dallo stesso, delle sue implicazioni, delle possibili alternative praticabili e dell’eventualità di un possibile aggravamento delle condizioni di salute.
In caso di omissione o incompletezza di tale onere informativo sorge la questione se siano configurabili i reati di lesioni personali ex art. 582 c.p. o di violenza privata ex art. 610 c.p.
Sul questo punto risulta preliminarmente pacifico che il consenso del paziente ad un trattamento curativo non ha certamente una portata tale da escludere la colpa del medico che abbia operato negligentemente, ovvero in violazione delle leges artis. Esclusi tali casi, secondo la giurisprudenza prevalente, la responsabilità penale deve ritenersi esclusa in presenza di “un esito fausto” dell’intervento e nelle ipotesi dei casi urgenti che non hanno dato disponibilità temporale per adempiere l’onere informativo in questione.
Nell’eventualità in cui l’esito dell’azione medica sia stato invece avverso per il paziente e vi era un’urgenza di provvedere, non si registra una chiara posizione della giurisprudenza a tale proposito.
La tesi più favorevole esclude anche in tal caso la responsabilità penale, a meno che il paziente “non abbia espressamente rifiutato il consenso” oppure “la mancata acquisizione del consenso abbia impedito di conseguire la conoscenza delle effettive condizioni del paziente” (Cass. pen., sez. IV, n. 48.619 del 14.9.2022).
Si riporta l’esempio in cui un medico non ha preso conoscenza di un’intolleranza ad un certo trattamento farmacologico per la mancata sollecitazione del consenso al paziente. In questa ipotesi il comportamento del medico è da ritenersi superficiale e pertanto eventuali eventi dannosi che possano essersi concretizzati a danno del paziente stesso sono certamente imputabili penalmente per colpa.
3=I rischi penali del personale infermieristico.
E’ doveroso rilevare che le strutture ospedaliere trovano funzionamento mediante l’apporto quotidiano del personale infermieristico, che costantemente si dedica alla cura dei pazienti.
Secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza, anche gli infermieri sono portatori “ex lege” di una posizione di garanzia nei confronti dei pazienti, al fine di tutelare la loro salute. L’obbligo in questione trova fondamento nell’articoli 2 e 32 della Costituzione e ha una durata corrispondente all’intero turno di lavoro.
Dopo tale precisazione prendiamo in esame i casi in cui può sorgere la responsabilità penale dell’infermiere.
a) In sala operatoria.
In primo luogo l’attenzione è posta sull’attività in sala operatoria, la quale è organizzata secondo una reciproca collaborazione tra i diversi operatori presenti, nel senso che il singolo componente deve essere garante anche per l’operato di tutti gli altri membri dell’équipe. In concreto, quindi, si può essere ritenuti responsabili anche per l’errore altrui, quando lo stesso sarebbe stato riconoscibile da un professionista mediamente attento.
Si cita la vicenda in cui un paziente muore per peritonite in conseguenza della mancata estrazione dall’addome di una garza per un intervento di cistectomia; in tal caso oltre ai chirurghi, che materialmente sono stati gli autori della dimenticanza in questione, sono state ritenute responsabile per omicidio colposo del paziente anche l’infermiere strumentista e quella di sala in quanto non hanno riscontrato il numero delle garze restituite rispetto a quelle consegnate (Cass. pen., sez. IV, n. 392 del 14.9.2021).
b) Emergenza.
Successivamente si pone l’attenzione sui casi di emergenza, in cui gli infermieri hanno il compito di attribuire il codice di priorità corrispondente all’effettiva gravità della patologia e indirizzare il paziente al reparto corretto. Eventuali profili di responsabilità penali possono scaturire da errate valutazioni sulla rilevanza della patologia del paziente; infatti, qualora sia assegnato un codice bianco o verde ad un soggetto che invece avrebbe necessitato di un codice rosso con intervento immediato e, segua il decesso del paziente, è ipotizzabile che sia contestato l’omicidio colposo.
La linea difensiva, in questi casi, si concentra sull’approfondimento delle condizioni del paziente al momento dell’ingresso nella struttura da cui si poteva effettivamente dedurre la necessità di un’urgenza. Relativamente a ciò si specifica che l’incertezza, legata anche alla tempestività di provvedere, è certamente un fatto che può avere rilievo in termini di prevedibilità della condotta doverosa e pertanto ai fini della prova della colpa.
c) Sindacabilità delle disposizioni mediche.
L’ultimo tema che si ritiene opportuno richiamare, riguarda la possibilità del personale infermieristico di sindacare le disposizioni dei medici; in particolare, sorge l’interrogativo se possa essere ritenuto responsabile penalmente l’infermiere che ha somministrato il farmaco prescritto da un medico, nonostante dalla lettura della cartella clinica risultasse che il paziente fosse allergico a tali farmaci e per tale errore è deceduto.
La risposta è positiva in quanto l’infermiere, non è un mero esecutore materiale dell’ordine del medico e deve astenersi dall’eseguirlo, qualora dannoso per il paziente. Il parametro di sindacabilità in questo caso è dato dalle conoscenze tecniche in possesso dall’infermiere, ottenute con la sua formazione e con la sua anzianità lavorativa.
In tema di responsabilità medica, l’accertamento del nesso causale tra la diagnosi intempestivadi una malattia tumorale e il decesso del paziente postula il ricorso ad un giudizio controfattualeipotetico, sulla base del modello probabilistico e multifattoriale che richiede di valutarel’incidenza del comportamento alternativo lecito, ossia se la diagnosi tempestiva avrebbeimpedito ovvero significativamente ritardato, con alto grado di probabilità logica ed in assenzadi decorsi causali alternativi, l’esito infausto. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio lasentenza di condanna per omicidio colposo del medico che abbia ritardato la diagnosi disarcoma a cellule chiare, in quanto, per la particolare aggressività del tumore, con unapercentuale di sopravvivenza a cinque anni non superiore al 25%, anche nel caso di diagnosi ecure tempestive, si sarebbe verificata una elevata probabilità di morte della paziente).Cass. pen., sez. 4, n. 9705 del 15 dicembre 2021