I Reati sessuali
Sommario:
- 1=La nozione di atto sessuale e Il consenso al rapporto sessuale.
- 2=La difesa dall’accusa di violenza sessuale: la minore gravità del fatto.
- 3= La pedopornografia: la detenzione penalmente rilevante.
1=La nozione di atto sessuale e Il consenso al rapporto sessuale.
Occorre premettere che l’ordinamento italiano prevede i reati che offendono la sfera sessuale di una persona agli articoli 609 bis e seguenti del codice penale.
Ai fini chiarificatori dobbiamo rilevare che il primo elemento da prendere in esame riguarda la nozione di “atto sessuale“, il quale rappresenta l’oggetto di tutti i comportamenti incriminati dei reati in questione.
In particolare, la giurisprudenza prevalente suggerisce un’interpretazione del termine che tenga conto non solo delle zone erogene coinvolte, ma anche il contesto in cui l’azione si è compiuta e della relazione intersoggettiva intercorrente tra le parti.
Ad esempio, se prendiamo come riferimento “il bacio“, occorre rilevare che se viene dato su una guancia, non riguarda una zona erogena del corpo e, in base alla confidenza dei soggetti interessati, può essere “normalmente tollerato“. Viceversa “un bacio” sulla bocca è in genere qualificato come atto sessuale, in quanto coinvolge le labbra che sono zone erogene, salvo l’ipotesi limite che venga scambiato tra persone di origine sovietica in cui tale comportamento è un comune segno di saluto (Cass. pen., sez. V, n. 37.460 del 14.10.2021).
Sul tema risulta, inoltre, pacifico che l’atto per essere ritenuto di natura sessuale non presuppone necessariamente un contatto corporeo tra le parti; infatti i reati in esame sono strumentali per tutelare l’intangibilità sessuale della persona offesa che può essere compromessa anche da imposizioni perpetrate da soggetti terzi per soddisfare o eccitare il loro istinto erotico. Pertanto si è arrivati a ritenere penalmente rilevante anche in comportamento indotto tramite una comunicazione telematica, per mezzo della quale la vittima è stata costretta a compiere su se stessa atti sessuali (Cass. pen., sez. III, n. 41951 del 11.10.2019).
Per evitare che l’atto sessuale, identificato nei suoi caratteri essenziali nelle precedenti osservazioni costituisca reato, deve trovare un “consenso” nel partner.
Secondo la costante giurisprudenza l’errore su tale consenso non è scusabile in quanto viene ricondotto ad un errore di diritto su legge penale che esclude la punibilità solo se inevitabile.
Si riporta l’esempio di un uomo che viene ritenuto colpevole del reato di violenza sessuale a danno della convivente, nonostante avesse “erroneamente” inteso la volontà della donna di riprendere le loro relazioni intime dal mero ritorno della stessa nella casa del compagno (Cass. pen., sez. III, n. 2400 del 5.10.2017).
Al riguardo all’età in cui una persona è considerata capace di dare l’approvazione ad un rapporto sessuale, essa viene indicata dalla legge ad anni quattordici; si specifica che il limite in questione è elevato a sedici anni o si abbassa ad anni tredici nelle ipotesi speciali dell’art. 609 quater c.p.
Su questo punto occorre sottolineare che un limite di età così basso non è certamente indice della volontà di incentivare ad intrattenere rapporti con minorenni. Infatti l’accusa sarà certamente agevolata nel provare la violenza commessa nei confronti di un minore privo di esperienze sessuali e quindi incapace di disporre “consapevolmente” del proprio corpo.
2=La difesa dall’accusa di violenza sessuale: “la minore gravità” del fatto.
Con rammarico si rileva che nella maggioranza dei casi, un’indagine delle autorità sui reati inerenti la sfera sessuale non ha come riferimento l’accertamento della fondatezza della denuncia ma la ricerca di elementi che la confermino, i quali sono marcatamente interpretati per portare al rapido rinvio a giudizio dell’accusato.
La giurisprudenza non ha certamente posto un freno a tale metodo. Infatti la semplice versione dei fatti predisposta dalla presunta vittima è ritenuta sufficiente per fondare una condanna, seppur priva di riscontri esterni. Al più si registrano pronunce isolate quando si è costituita parte civile in cui si richiede un riscontro di tipo “intrinseco“, nel senso che le dichiarazioni saranno ritenute credibili se caratterizzate da precisione, coerenza logica e contestualmente prive di contraddizioni e inverosomiglianze.
In questo contesto è evidente che grava sul difensore l’impegno di far emergere la verità quando il cliente si ritiene estraneo all’accusa.
In particolare, dopo lo studio degli atti, si dovrà valutare se ci sono delle persone non sentite dagli inquirenti che possono far luce sulla relazione delle parti coinvolte, per ricostruire in termini realistici i rapporti pregressi.
Successivamente è doveroso prendere in considerazione l’ipotesi di chiedere l’apporto di uno psicologo forense, esperto di meccanismi psicologici, espressivi e cognitivi; tale intervento è finalizzato ad assistere i testimoni citati dall’accusa per suggerire alla difesa eventuali incongruenze. A tal proposito si ricorda che costituisce diritto della difesa ottenere che un proprio consulente assista all’esame di un testimone (Cass. pen., sez. III, n. 35.702, del 16.9.2009).
In merito all’audizione di testimoni, certamente quella più significativa sarà quella della presunta vittima, la quale, dopo l’audizione del pm, potrà essere oggetto di “contro esame” del difensore. Per chiarezza, si ricorda che tale termine nel processo penale, si riferisce all’interrogatorio del testimone condotto dalla parte avversa a quella che ne ha chiesto l’ammissione ed è proprio dal confronto dell’esame diretto e dal controesame che la prova acquista credibilità, in quanto capace di resistere a suggestioni. Il giudice può intervenire per assicurare “la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte, la lealtà dell’esame e la correttezza delle contestazioni“.
La finalità della difesa nei casi dei reati sessuali è far emergere contraddizioni e lacune nel racconto, che possono essere indice di un secondo fine da cui è animata la persona accusatrice, ad esempio motivi economici, familiari o semplicemente come ritorsione per la cessazione improvvisa del rapporto sentimentale.
Per concludere, sul tema si deve prendere in considerazione la malaugurata circostanza che l’accusa di violenza sessuale risulti fondata e pertanto la difesa non sia nelle condizioni di smentirla. In tal caso l’unica possibilità, per evitare che il condannato sia condotto in carcere, quando la sentenza sarà divenuta esecutiva è l’attenuante della “minore gravità” del fatto prevista dall’ultimo comma dell’art. 609 bis c.p.
Infatti tale circostanza se viene riconosciuta non incide solo sulla diminuzione della pena, come qualsiasi attenuante, ma anche sul trattamento esecutivo, rappresentando la singolare ipotesi che permette di evitare l’ingresso in carcere e di estinguere la pena con il sistema delle misure alternative (art. 4 bis co. 1 quater l. n. 354 del 1975).
Ai fini di completezza, si ricorda, che secondo l’attuale ordinamento penitenziario, il beneficio in esame non trova applicazione se il fatto è commesso a danno di un minorenne (art. 609 ter n. 5, art. 4 bis co 1 quater o.p.).
Per individuare i casi di minore gravità, la giurisprudenza suggerisce di prendere come riferimento il fatto nella sua “globalità“. A titolo esemplificativo, si ricorda il grado di coartazione subito dalla vittima, le sue condizioni fisiche e mentali, valutate in relazione all’età e alle esperienze pregresse.
In un caso la Corte di legittimità ha annullato con rinvio la decisione di merito, nella quale si era negata l’attenuante in questione, giustificando tale rigetto sulla base del fatto che “la consumazione d’una violenza carnale completa, al di là delle condizioni soggettive in cui versi l’autore, resta un fatto non sussumibile fra le violenze sessuali di minore gravità“.
In particolare, si contesta ai giudici di merito di aver dato per scontato che un rapporto compiuto sia di per sè un fatto grave, tralasciando le conseguenze che lo stesso ha prodotto sulla serenità della vittima e sul possibile ripristino di una vita normale, circostanze che non sono uguali per tutti, ma variano da individuo a individuo (Cass. pen., sez. III, n. 39.445 del 25.9.2014).
Il giudizio, rispetto a tale orientamento non può che essere positivo, in quanto ispirato dal criterio di imparzialità rigetta ogni forma di “accanimento punitivo” nei confronti del colpevole e rimette all’organo giudicante l’accertamento dell’effettiva “gravità” del fatto che giustifica l’ingresso in carcere.
3= La pedopornografia: la detenzione penalmente rilevante.
L’incremento dell’uso di apparecchi mobili, quali smartphone, tablet e computer capaci di generare, trasmettere e archiviare file, ha portato ad una corrispondente diffusione in rete di ogni tipo di contenuto, compreso quello di carattere pedopornografico, avente per oggetto immagini o video che ritraggono minori di anni diciotto in atteggiamenti sessualmente espliciti oppure intenti a praticare sesso.
In considerazione della vulnerabilità dei soggetti tutelati, in ambito penale viene incriminata non solo la produzione di questo materiale, ma anche tutti quei comportamenti ausiliari che contribuiscono ad alimentare l’offerta e quindi la commercializzazione, la cessione, la detenzione e il mero accesso a siti pedopornografici, anche se le immagini trasmesse sono solo virtuali (articoli 600-ter, 600-quater e 600-quater.1 c.p.).
Il reato che trova più frequente applicazione tra quelli richiamati è certamente quello della “detenzione” previsto dall’art. 600 quater c.p. e quindi è meritevole approfondirlo.
Come primo elemento, rileviamo che la fattispecie si incentra sull’incriminazione della mera disponibilità di materiale pedopornografico e quindi presuppone che il soggetto incriminato non sia anche produttore di questo materiale. Infatti, in questa eventualità, per l’espressa clausola di riserva a favore dell’art. 600-ter, “la detenzione” sarebbe assorbita dal più grave reato di “pornografia minorile“.
Concentrando l’attenzione sulla condotta incriminata, constatiamo che rientra nella nozione di “detenzione” anche il materiale pedopornografico “potenzialmente” disponibile.
A titolo esemplificativo, si ricorda, infatti, che sono ritenuti rilevanti penalmente anche i file “cestinati” contenti questo materiale, in quanto si afferma che risultano di fatto disponibili mediante una semplice operazione ripristino (Cass. pen., sez. III, n. 24644 del 24.6.2021).
Inoltre è perseguibile anche la disponibilità di immagini visibili in un archivio virtuale, il cui accesso è subordinato a credenziali di autenticazione in uso esclusivo o condiviso tra altri utilizzatori (Cass. Pen., sez. III, n. 36572 del 4.9.2023).
In aggiunta a queste ipotesi si ricorda che, in ragione di una condotta considerata di per sé degradante, non è rilevante ai fini della non punibilità della detenzione, il fatto che il minore abbia espresso “il consenso” alla creazione di questo materiale, seppur avente l’età per il consenso sessuale e quindi i quattordici. E’ previsto solamente un ambito marginale di impunità se il materiale prodotto è rimasto in uso esclusivo a chi intrattenga con il minore una relazione affettiva (Cass. pen., Sezioni Unite, n. 4616 del 9.2.2022).
Risulta evidente che un orientamento di questa portata, presenta il rischio di punire anche utenti ignari, che casualmente si ritrovano ad interagire con queste immagini.
Il legislatore, per risolvere questa criticità, ha limitato l’ambito operativo dell’incriminazione in tema elemento soggettivo. Infatti, ai fini dell’integrazione di tale requisito, si richiede la “consapevolezza” del contenuto pedopornografico del materiale in possesso e quindi un’acquisizione avvenuta per un’imprudenza o per caso fortuito è difficilmente perseguibile.
La sussistenza di questo contegno viene generalmente accertata tramite indizi, quali, a titolo esemplificativo, il nome del sito internet da cui si sono scaricate queste immagini, riconducibile in modo evidente alla pedopornografia, la modalità di pagamento dello stesso, il fatto che l’età minorenne dei soggetti rappresentati sia evidente, il numero di immagini detenute, la dimestichezza nell’uso di computer della persona accusata del reato oppure l’installazione di specifici software nel computer capaci di cancellare questa tipologia di file senza lasciare tracce.
In questo contesto è quindi compito del difensore analizzare dettagliatamente tutte le evenienze del caso, al fine di dimostrare se l’interazione con questo materiale sia stata puramente accidentale e quindi priva di rilievo penale.
Un ulteriore aspetto da non sottovalutare sulla tematica è quello avente per oggetto la modalità di raccolta delle prove, che in questo settore sono prevalentemente di carattere informatico.
In particolare, su questo punto è operativa una prassi che riconosce il diritto degli inquirenti di procedere all’acquisizione della prova unilateralmente, senza il coinvolgimento della difesa e quindi anche tramite perquisizioni a “sorpresa” (Cass. pen., sez. II, n. 5283 del 27.11.2020).
Pertanto, in questi casi è doveroso richiedere una consulenza qualificata per valutare se le prove raccolte siano conformi al dato originale; a titolo esemplificativo, è infatti possibile che non si siano seguite le “best practice“che garantiscono l’attendibilità dell’investigazione e quindi l’utilizzabilità in giudizio.
Nell’eventualità in cui le prove siamo evidenti e quindi non ci siano margini difensivi, si evince che i reati in esame presentano un trattamento molto severo nella fase esecutiva. Infatti le misure alternative alla detenzione sono ammesse solo dopo che si è scontato almeno un anno di reclusione in carcere (art. 4 bis co. 1 quater ord. pen.).
Prendendo come riferimento il reato dell’art. 600 quater c.p., un valido strumento processuale, per evitare questo rischio, è chiedere nei tempi la definizione del procedimento con la messa alla prova ed auspicare che abbia esito positivo. Infatti, in questa eventualità, il reato trova estinzione e non si pone quindi la necessità che la pena sia eseguita (art. 464 septies c.p.p.).
In definitiva è utile suggerire a chi è accusato di questi reati di non trascurare il caso, ma cercare prontamente di approfondirlo con l’ausilio del proprio difensore, al fine di trovare il percorso più favorevole per salvaguardare la propria posizione giuridica.
Il consenso agli atti sessuali deve perdurare nel corso dell’intero rapporto senza soluzione dicontinuità, con la conseguenza che integra il reato di violenza sessuale la prosecuzione delrapporto nel caso in cui, successivamente a un consenso originariamente prestato, intervenga“in itinere” una manifestazione di dissenso, anche non esplicita, ma per fatti concludentichiaramente indicativi della contraria volontà.Cass. pen., sez. III, n. 19638 del 9 aprile 2024