I reati stradali
Sommario:
- 1=Considerazioni generali.
- 2=Strategia difensiva nel caso di reato di guida in stato di ebbrezza: il rifiuto di sottoporsi all’alcoltest.
- 3=L’incidenza del comportamento della vittima ai fini dell’accertamento della colpa “stradale”.
1=Considerazioni generali.
La problematica più significativa sul tema della circolazione stradale è quella che ha per oggetto l’individuazione di espedienti per prevenire il numero di incidenti, che ogni giorno si verificano sulle nostre strade.
Le maggioranze politiche, che si sono alternate nel sostenere i governi del paese, hanno, in genere, privilegiato come soluzione alla questione, l’inasprimento del sistema sanzionatorio per le violazioni inerenti le norme che regolamentano la circolazione stradale.
La recente legge n. 177 del 2024 nel solco di tale “tradizione“, estende l’ambito applicativo di alcuni reati stradali, aggrava diverse sanzioni previste dal codice della strada e permette con più facilità, il ritiro immediato della patente da parte delle forze dell’ordine.
In merito a tale intervento occorre prendere atto che, secondo fonti autorevoli, avrebbe comportato un effettivo calo di incidenti; tuttavia, anche a voler ritenere attendibile tale dato, è ipotizzabile che sia legato al “il clamore mediatico” suscitato dalla riforma in esame; infatti, dopo tale periodo transitorio, non è escluso che il numero di incidenti potrebbe ricominciare a crescere, non essendo più il problema al centro dell’attenzione dei nostri mezzi di informazione.
E’ quindi auspicabile che siano valorizzati altri aspetti, diversi da quelli fino ad oggi sperimentati, che incidano in termini strutturali sulla circolazione stradale.
A titolo esemplificativo, possiamo ricordare una forte incentivazione all’uso di mezzi pubblici soprattutto nelle zone urbane del paese, dove è registrato il più alto numero di incidenti. L’insegnamento nelle scuole dell’educazione stradale dovrebbe trovare applicazione fin dalla primaria, per far acquisire, anche ai più giovani, le conoscenze basilari per gli spostamenti a piedi, in bicicletta e in motorino. Infine gioverebbe sicuramente al decremento di sinistri, l’intensificazione di controlli preventivi, al fine di scoraggiare dalla guida chi è positivo all’alcol o agli stupefacenti.
In questo contesto, dominato da una forte impiego repressivo, trova naturale collocazione la normativa penale, che sanziona, con pene significative anche sulla libertà personale, le violazioni più gravi delle norme sulla circolazione stradale.
In particolare, risultano vigenti i delitti di “omicidio e lesioni stradali“, previsti dall’articoli 589 bis e 590 bis del codice penale; oltre ad essi sono disciplinati dagli articoli 186 e 187 del codice della strada ulteriori reati nella forma di contravvenzione, tra i quali ricordiamo la guida “sotto l’influenza dell’alcool” e “dopo l’assunzione di sostanze stupefacenti” e il “rifiuto” agli accertamenti di tali stati alterati.
In merito al reato di “guida dopo l’assunzione di stupefacenti“, è necessario rilevare che esso è stato oggetto di innovazione da parte della legge n. 177 del 2024, già ricordata in precedenza. Infatti, in virtù di tale intervento, non deve più essere dimostrata l’alterazione delle capacità di guida in conseguenza dell’uso di stupefacenti, essendo sufficiente, per integrare il reato, la mera positività a tali sostanze.
Rispetto a tale opzione sono state espresse perplessità, nella parte in cui non tiene conto del fatto che l’uso di droghe, a differenza dell’alcol, ha un metabolismo particolarmente lungo, anche quando gli effetti siano svaniti del tutto. E’ quindi auspicabile che in sede processuale si condivida un’interpretazione della previsione in conformità al principio di offensività e quindi si escluda il reato, quando la persona, seppur positiva agli stupefacenti, fosse perfettamente lucida al momento del controllo e non presentasse segni di disorientamento tali che potessero far pensare ad un pericolo concreto per la circolazione.
Dopo questa introduzione sulla tematica, si è ritenuto doveroso porre l’attenzione sulla strategia difensiva per l’accusa di guida in stato di ebbrezza, mentre nel terzo paragrafo è trattata l’incidenza del comportamento della vittima ai fini del riconoscimento della colpa stradale.
2=Strategia difensiva nel caso di reato di guida in stato di ebbrezza: il rifiuto di sottoporsi all’alcoltest.
Il reato di guida sotto l’influenza dell’alcol è previsto dall’art. 186 co. 2 lett. b) c.d.s. ed è integrato quando viene accertato un tasso alcolemico superiore a 0,8 grammi per litro g/l.
Si specifica che per i minori di anni 21, i neopatentati e i professionisti al volante, non è prevista nessuna tolleranza all’uso di alcol; infatti il reato in esame si consuma nei loro confronti, con il semplice accertamento di un tasso alcolemico superiore a zero (art. 186 bis c.d.s.).
Sulla materia è decisivo ricordare che esistono fattori capaci di condizionare la capacità dell’organismo di metabolizzare l’alcol ingerito e quindi rilevanti anche ai fini del relativo accertamento; in particolare, a tal fine, viene ricordato il sesso e il peso corporeo dell’assuntore, oltre al fatto che l’ingerimento sia stato effettuato a stomaco pieno o vuoto.
Si riporta l’esempio limite di un uomo, avente peso di 100 k/g che beve diversi bicchieri di vino durante un pasto abbondante; in tal caso, smaltisce sicuramente con più rapidità la solita quantità di alcol, rispetto ad una donna di 50 k/g che ha ingerito del vino, ma a digiuno.
Ci sentiamo quindi di consigliare di aspettare prima di mettersi alla guida, nell’eventualità in cui si siano assunte bevande alcoliche e, nel caso in cui tale assunzione sia considerevole, rinunciarvi finché non è passata l’ebbrezza.
Nel caso malaugurato, in cui sia contestato il reato di guida in stato di ebbrezza, possono essere suggerite le seguenti opzioni difensive.
a) Limitata affidabilità dello strumento; omesso avviso della facoltà di essere assistito da un difensore di fiducia.
Come primo elemento è possibile valutare se il risultato desumibile dallo strumento in dotazione agli agenti sia affidabile e quindi utilizzabile per ritenere fondata l’accusa; si può, infatti, ipotizzare che non fosse stato omologato, privo di revisione periodica oppure utilizzato in condizioni estreme con temperature sotto lo zero o con eccessiva umidità.
Inoltre, si puntualizza che l’art. 114 disp. att. c.p.p. non permette, salvo ipotesi marginali, atti invasivi di iniziativa della polizia giudiziaria, senza che prima la persona non sia stata informata della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia. L’omissione di tale avvertimento comporta la nullità dell’accertamento.
b) Prescrizione del reato.
Il reato di guida sotto l’influenza dell’alcool costituisce una contravvenzione punita con arresto e ammenda, pertanto, salvo le ipotesi più gravi, si prescrive nel termine massimo di 5 anni dall’accertamento; in tal caso spetta alla difesa valutare se ci sono i margini per auspicare la maturazione della prescrizione prima della sentenza di primo grado.
Sul tema si specifica che non vi è una posizione chiara della giurisprudenza sulla revoca della patente, in presenza di una dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione.
c) Assoluzione per particolare tenuità del fatto.
Nel caso in cui i dati raccolti in sede di indagine non siano contestabili, è possibile valutare, preliminarmente, se ci sono i margini per ottenere un proscioglimento per particolare tenuità del fatto, previsto dall’art. 131 bis c.p. In tal caso non vengono inflitte sanzioni e dopo 10 anni il precedente viene rimosso anche dal casellario.
A titolo esemplificativo, si possono rilevare, ai fini della concessione del beneficio, il tasso alcolemico di poco superiore al limite, l’assenza di segni evidenti di ebbrezza al momento del controllo, il non aver provocato un incidente e non avere precedenti; infine il prospettare un valido motivo per cui il consumo di alcool è stato occasionale, come il festeggiamento per una cerimonia, una cena per una promozione sul lavoro o una ricorrenza.
d) Le strade alternative del procedimento ordinario.
Nell’eventualità in cui l’opzione precedente non trovi operatività, possono essere sollecitati, nel caso in cui l’accusa sia evidente, la “messa alla prova” o “i lavori di pubblica utilità” (articoli 168 bis c.p. e 186 co. 9 bis c.d.s.).
Entrambe gli istituti prevedono lo svolgimento di un’attività non retribuita in favore della collettività; la differenza è data dal fatto che la messa alla prova prescinde dall’accertamento della responsabilità e quindi permette in termini più rapidi la definizione del procedimento.
L’effetto principale, in caso di esito positivo della prova, è per entrambe le opzioni l’estinzione del reato, oltre che la riduzione di metà della sospensione della patente e la revoca della confisca del veicolo (Corte Cost. n. 75 del 2020 e n. 163 del 2022).
Si precisa, però, che i benefici in questione non possono essere utilizzati più di una volta e il lavoro di pubblica utilità non è applicabile per gli addebiti in cui si sia provocato un incidente. Pertanto, in via residuale, i rimedi alternativi al procedimento ordinario sono il giudizio abbreviato e il patteggiamento.
e) Il permesso di guida del prefetto.
Il rischio maggiore che vede esposta la persona accusata dei reati in tema di guida sotto l’influenza di alcol o stupefacenti, è la possibilità di continuare a guidare veicoli.
Sulla questione si ricorda che, in caso di impossibilità di raggiungere il posto di lavoro con mezzi pubblici o comunque propri, non sia stato provocato un incidente e il fatto non costituisca reato (ad esempio l’ipotesi dell’art. 186 co. 2 lett. a) c.d.s., con tasso alcolemico compreso tra 0,5 e 0,8 g/l), può essere presentata una richiesta al prefetto al fine di ottenere un permesso di guida per motivi di lavoro, per un massimo di tre ore al giorno. Qualora la richiesta sia accolta, il periodo di sospensione della patente è aumentato di un numero giorni pari al doppio delle complessive ore per cui è stata autorizzata la guida (art. 218 co. 2 c.d.s).
d) Il reato di rifiuto all’alcoltest.
Nel caso in cui, alla guida, siamo fermati dalle forze dell’ordine, non è possibile rifiutarsi di essere sottoposti agli accertamenti sullo stato di ebbrezza mediante gli strumenti “portabili” in dotazione agli agenti; infatti, in virtù delle direttive del Ministero dell’Intero, tali controlli possono essere predisposti nel caso in cui l’interessato presenti sintomi dell’abuso come alito vinoso o impiego di un linguaggio alterato, ma possono essere effettuati anche a campione, purché sia rispettata la riservatezza personale e l’integrità fisica del sottoposto (articoli 186 co. 7 e 186 bis co. 6 c.d.s.).
Si pone il problema delle conseguenze nel caso che nonostante l’invito, rifiutiamo di effettuare il test sollecitato dagli agenti.
In particolare, in seguito a tale comportamento, possono scaturire due tipi di procedimenti: il primo, amministrativo, avente per oggetto il ritiro della patente e la confisca del veicolo e il secondo, penale, che prende origine con la denuncia degli agenti. Si puntualizza che il reato in esame, ai fini sanzionatori, è equiparato alla forma più grave di guida in stato di ebbrezza (tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l).
In termini difensivi si pongono le seguenti opzioni, ovviamente a titolo esemplificativo e quindi non certamente esaustive.
Preliminarmente può essere contestato il semplice comportamento elusivo, che si realizza quando non si soffia con forza adeguata, tale da consentire allo strumento di registrare il tasso alcolemico. In tal caso, secondo la tesi prevalente, il reato è escluso se viene provata l’esistenza di una patologia clinica che ha impedito di compiere il gesto suggerito dagli agenti (Cass. pen., sez. IV, n. 10555 del 8.3.2018).
Il secondo caso riguarda la denuncia conseguente al rifiuto di seguire gli agenti presso il più vicino ospedale, in quanto sprovvisti di uno strumento portabile.
Secondo la tesi più attendibile, in questo caso il reato non è sussistente. Infatti la normativa richiamata, incrimina il rifiuto solo se riguarda gli accertamenti mediante etilometro e quelli che la polizia ha richiesto alle strutture sanitarie, che hanno in cura medica i conducenti coinvolti in sinistri stradali (Cass. pen., sez. IV, n. 30041 del 23.7.2024).
3=L’incidenza del comportamento della vittima ai fini dell’accertamento della colpa “stradale”.
Risulta pacifico che la maggioranza degli incidenti stradali più gravi trovano conseguenza non solo nella colpa di un conducente, ma anche di quella simultanea di chi ne è stato vittima.
Sorge quindi la questione degli effetti che producono queste situazioni sulla configurabilità dei reati di omicidio e lesioni stradali, i quali presuppongono l’accertamento della colpa dell’imputato.
In via primaria, si prende atto che, se è riconosciuto un concorso di colpa di coloro che sono coinvolti in un incidente, è prevista espressamente dagli articoli 589 co. 7 e 590 co 7 c.p. una riduzione della pena “fino alla metà” per i reati in esame.
Nel caso, invece, in cui non sia raggiunta la prova della colpa per il conducente accusato di un reato stradale, è ipotizzabile la più benevola definizione del procedimento con l’assoluzione.
Si riferisce, a tal proposito, una vicenda processuale realmente accaduta, che costituisce un punto di riferimento per la tematica. Il caso riguarda un incidente in cui un giovane in moto perde la vita, a causa di uno scontro con una vettura durante una notte di fine inverno.
Dalla dinamica dei fatti è risultato che il ciclomotore, prima dell’impatto, aveva invaso l’opposta corsia, elementi desunti dalla collocazione della chiazza di liquidi meccanici fuoriusciti dal motoveicolo e dalla posizione del corpo della vittima presente nella carreggiata.
In merito alla vettura dell’imputato è risultato che procedeva al limite della ideale linea di mezzeria e ad una velocità di circa 90 km orari, corrispondente al limite massimo prescritto sulla strada in questione. Tale comportamento è stato ritenuto dai giudici di primo e secondo grado, riconducibile alla colpa specifica per violazione dell’art. 143 c.d.s., che impone di circolare sulla parte destra della propria carreggiata; inoltre la velocità è stata ritenuta inadeguata alle circostanze di tempo e di luogo, con conseguente violazione degli articoli 140 e 141 c.d.s.
Si è inoltre richiamato “il principio di affidamento“, rimproverando all’imputato che, se avesse tenuto una condotta osservante le predette regole cautelari, avrebbe comunque potuto utilmente rendersi conto dell’ingombro anomalo di corsia operato dall’altro conducente e, posizionandosi verso destra, sarebbe stato nelle condizioni di scansarlo.
In sede di appello si è riconosciuto un concorso di colpa in capo alla vittima pari al 50% e si quindi è quindi rideterminato la pena.
I giudici di legittimità non hanno, invece, condiviso la ricostruzione predisposta in sede di merito, rinviando il caso in appello per un ulteriore approfondimento sulla colpa dell’imputato, accusato di omicidio stradale.
In particolare, vengono presi come riferimento i tratti principali della “causalità della colpa“, nel suo duplice nesso rappresentato dalla “concretizzazione del rischio” che la regola cautelare mira a prevenire e dall’efficacia “impeditiva della condotta alternativa doverosa“.
Pertanto, in merito all’art. 143 c.d.s., si è affermato che, essendo posto a garanzia del traffico ordinato nella medesima corsia e non delle improvvise occupazioni di veicoli provenienti da quella opposta, non doveva trovare l’applicazione nel caso di specie.
Per la velocità sostenuta del veicolo, si è contestato che un limite inferiore, non avrebbe comunque garantito con certezza la salvezza del giovane.
Infine, si è messa in dubbio la modalità con cui si è applicato il “principio di affidamento” e sulla conseguente sussistenza di una residua colpa generica. Infatti si afferma che l’invasione improvvisa della corsia da parte di un ciclomotore era “ragionevolmente” imprevedibile, tenuto conto “della repentinità della stessa, dei concreti spazi di manovra e dei necessari tempi di reazione psicofisica” (Cass. pen., sez. IV, n. 50816 del 14.12.2023).
Esprimendo una valutazione sulla soluzione delineata, risulta certamente condivisibile. Infatti invita ad una lettura meticolosa della vicenda, sollecitando l’attenzione sull’effettiva evoluzione del sinistro e conclude ritenendo incerto che la morte del giovane sarebbe stata evitata, attraverso il rispetto della normativa stradale contestata all’imputato. L’auspicio è che tale orientamento trovi in futuro applicazione direttamente nei gradi di merito, per evitare che una persona non colpevole, debba affrontare per lunghi anni il lento corso della giustizia.
Al fine di determinare la sussistenza di una responsabilità colposa nell’ambito di un sinistrostradale il giudice non può ricorrere ad una valutazione ex post, risultando imprescindibile sotto il profilo logico-giuridico che l’accertamento venga svolto partendo da una determinazione ex ante del comportamento diligente.Cass. pen., sez. IV, n. 34383 del 12 settembre 2024