I reati tributari
Sommario:
- 1=Introduzione: i soggetti responsabili e la possibile linea difensiva.
- 2=La crisi di liquidità per i reati di omesso versamento di imposte.
- 3=Rischi penali per il trasferimento del domicilio all’estero: l’esterovestizione.
1=Introduzione: i soggetti responsabili e la possibile linea difensiva.
Il principale testo normativo di riferimento in tema di diritto penale tributario è il d.lgs n. 74 del 2000.
Il primo elemento che si evince dalla lettura di tale provvedimento è certamente la sussistenza di “soglie di punibilità“, le quali corrispondono all’ammontare minimo di imposte non versate, necessario per integrare la maggioranza delle singole fattispecie incriminatrici.
Tali soglie sono considerate dalla giurisprudenza prevalente come elementi costitutivi del reato e, come tali, devono quindi formare oggetto di rappresentazione e volizione, anche a titolo di dolo eventuale da parte dell’agente. La prova di tale consapevolezza, in genere, viene desunta da una pluralità di indici, quali l’entità dell’evasione rispetto alla singola soglia, la disponibilità per l’imputato della documentazione contabile e infine le dichiarazioni di commercialisti o ragionieri, che hanno deciso di deporre sui fatti coperti dal segreto professionale.
Un ulteriore aspetto che merita attenzione sui reati in questione è certamente l’individuazione del soggetto attivo e quindi di chi può essere chiamato a rispondere della violazione della normativa tributaria di ordine penale.
In particolare, si ricorda che tale titolarità non coincide solo con la persona destinataria dell’obbligo di pagamento del tributo (cd soggetto passivo), ma è estesa anche a chi è obbligato legalmente o, per esplicita scelta, a tali oneri. A tal proposito, nelle società di persone sono responsabili penalmente i soci che hanno amministrato la società e compiuto l’irregolarità contestate, mentre per le società di capitali, si distingue a seconda della forma adottata e del modello operativo prescelto; per le società per azioni con sistema ordinario ex art. 2380 bis c.c. sono gli amministratori i destinatari degli obblighi tributari e della conseguente responsabilità in sede penale.
In merito alla contributo concorsuale, è opportuno ricordare che viene ritenuto responsabile anche il commercialista che svolge un’attività di consulenza o tiene la contabilità con tutti i relativi incombenti, quando è provato che abbia partecipato materialmente o moralmente all’illecito del cliente.
In particolare, il suo comportamento potrà essere certamente ritenuto punibile quando abbia suggerito le modalità per compiere un’evasione d’imposta o un indebito rimborso o, addirittura, sia stato lui stesso a redigere fatture false in accordo con i clienti.
Prendendo in esame il versante difensivo, il primo passo da seguire è quello di esaminare gli atti processuali e valutare se ci sono i margini per contestare le accuse.
A titolo esemplificativo, il reato di dichiarazione fraudolenta mediante fatture “oggettivamente” inesistenti (ex art. 2 del decreto n. 74) potrà essere messo in dubbio tramite la testimonianza di dipendenti dalla quale si deduce che alla fatturazione è seguito lo scambio di merce e il valore della stessa è coincidente con quello presente nel documento contabile.
Nell’eventualità in cui siano prodotte presunzioni tributarie, si ricorda che in sede penale hanno valore solo di “indizio” ai fini della prova di un reato; pertanto il loro impiego sarà subordinato alla sussistenza di “riscontri“, che avvalorano il fatto presunto.
Si riporta l’esempio dell’art. 32 co.1 n. 2 del d.p.r. n. 600 del 1973, che riconosce la presunzione di redditività dei prelevamenti sui conti correnti bancari, quando non risultano da scritture contabili e siano privi dell’indicazione di un beneficiario.
In tal caso dovranno essere forniti elementi da cui dedurre che il denaro sottratto sia stato oggetto di destinazione illegittima e quindi di evasione. Ovviamente, la difesa potrà provare il contrario e quindi dimostrare che tali movimenti sono stati presi in considerazione ai fini della base imponibile o non sono addirittura tassabili.
Nel caso in cui le prove siano evidenti, è consigliabile rinunciare a smentire il reato e definire il procedimento con un rito semplificato, avvalendosi eventualmente del sistema di estinzione del debito tributario in forma rateale previsto dalla normativa.
Dopo questa analisi introduttiva sull’argomento, nei paragrafi successivi si approfondiscono i temi della crisi di liquidità e dell’esterovestizione, che sono oggetto di un acceso dibattito.
2=La crisi di liquidità per i reati di omesso versamento di imposte.
Con il termine “crisi di liquidità” si indica la situazione in cui non si è in grado di disporre di denaro per far fronte alle scadenze finanziarie, le quali possono comprendere anche i tributi statali.
Sul tema è emerso il quesito volto a chiarire se tale difficoltà possa essere riconducibile alla “forza maggiore“, prevista dall’art. 45 del codice penale e quindi giustificare la non punibilità del reato tributario contestato.
In particolare, si afferma che l’accadimento esterno è ritenuto riconducibile alla “forza maggiore” solo quando “derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non abbia potuto porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico“. Conseguentemente si è affermato che l’omesso versamento IVA dovuto al mancato incasso di crediti può essere indice di imprevedibilità solo quando gli “insoluti” superano una certa percentuale del fatturato che nel caso in esame era del 43% (Cass. pen., sez. III, n. 31352 del 10.8.2021).
In risposta a tale posizione, si pone la riforma resa operativa dal decreto legislativo n. 67 del 2024, recante revisione del sistema sanzionatorio tributario; infatti viene introdotto un nuovo comma 3 bis all’art. 13 del decreto n. 74 secondo cui “I reati di cui agli articoli 10-bis e 10-ter non sono punibili se il fatto dipende da cause non imputabili all’autore sopravvenute, rispettivamente, all’effettuazione delle ritenute o all’incasso dell’imposta sul valore aggiunto. Ai fini di cui al primo periodo, il giudice tiene conto della crisi non transitoria di liquidità dell’autore dovuta alla inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di Amministrazioni pubbliche e della non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi“.
Dalla lettura della norma consegue che non è possibile individuare “a priori” se la crisi di liquidità può essere idonea ad integrare la non punibilità per i reati tributari richiamati nella previsione (omesso versamento di ritenute ex art. 10-bis e omesso versamento di iva ex art. 10-ter), pertanto sarà inevitabile affrontare un processo, concluso il quale spetterà all’organo giudicante riconoscere o meno il beneficio.
Risulta certo che la nuova causa di non punibilità troverà applicazione quando dalla crisi economica non si intravedono risoluzioni a breve durata compatibili con le scadenze dei debiti tributari e la causa della stessa è da addebitarsi a fattori sopravvenuti quali morosità di terzi e l’impossibilità di far ricorso agli strumenti idonei per superare le crisi.
Da parte nostra possiamo solo auspicare che la norma in esame trovi sollecita operatività e riconosca il beneficio a chi è in gravi difficoltà economiche, tali da non riuscire a saldare i debiti tributari.
3=Rischi penali per il trasferimento del domicilio all’estero: l’esterovestizione.
E’ necessario premettere che il diritto internazionale esclude che gli Stati possano esercitare la loro sovranità oltre i loro confini territoriali; tale principio si estende anche al diritto tributario e quindi l’imposizione fiscale è esclusa per persone o beni che presentano elementi di estraneità con il territorio nazionale.
Dopo tale richiamo, occorre rilevare che per beneficiare di un trattamento fiscale più vantaggio, si può essere attratti dalla possibilità di trasferire il proprio domicilio all’estero. Nell’eventualità in cui tale localizzazione sia finalizzata solo ad evitare il regime tributario più gravoso, si parla di “esterovestizione“.
In particolare, l’ordinamento riconosce la possibilità della “libertà di stabilimento all’estero“; tuttavia prevede una presunzione legale di localizzazione in Italia ai fini fiscali quando, ad esempio, nel nostro paese sia localizzata la direzione e la gestione di una società. Per le persone fisiche, si cita, ai fini di tale presunzione, la disponibilità di conti correnti con notevoli movimenti e il recapito della corrispondenza ad un indirizzo italiano (i vari casi sono elencati nell’art. 73 del Tuir).
Nel caso in cui l’indagine abbia esito positivo, il contribuente avrà comunque la possibilità di fornire “una prova contraria“, dimostrando l’effettività del suo stabilimento all’estero; nel caso in cui oggetto del controllo sia una società, si può provare a tal fine che si avvale di un’apprezzabile organizzazione di mezzi e personale all’estero, che le riunioni della gestione sono tenute nella sede estera e che in tale luogo sono conservati i documenti contabili.
Nell’eventualità in cui la prova contraria sia ritenuta non convincente, “la società esterovestita” sarà considerata fiscalmente residente in Italia e soggetta ai relativi obblighi; è ovvio che se l’importo di evasione supera le soglie di punibilità, possono essere contestati alle persone fisiche-titolari i reati di omessa dichiarazione e alla società la responsabilità amministrativa prevista dal d.lgs 231 del 2001.
In merito al reato di omessa dichiarazione, dobbiamo rilevare che, per essere consumato, richiede “il dolo specifico di evasione“, ossia la prova che l’agente sia stato animato dal fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto. Pertanto la mera collocazione all’estero di una società non può certamente essere sufficiente per l’integrazione del reato. Infatti si è affermato che tale finalità di evasione è esclusa o comunque risulta secondaria, quando la dirigenza di una società decida di presentarsi ad un mercato internazionale per ottenere maggiori finanziamenti e, a tal fine, istituisca in uno Stato estero la propria sede. Spetterà comunque alla difesa, approfondire il caso e valutare se ci sono i margini per portare avanti questa linea difensiva (Cass. pen., sez. III, n. 43.809, del 30.10.2015).
Le presunzioni legali previste dalle norme tributarie, pur potendo avere valore indiziario, non possono costituire “ex se” fonte di prova della commissione dell’illecito, assumendo il valore di dati liberamente valutabili dal giudice penale unitamente a elementi di riscontro che diano certezza dell’esistenza della condotta criminosa. (In motivazione, la Corte ha precisato che il riscontro può essere fornito o da distinti elementi di prova o anche da altre presunzioni, purché gravi, precise e concordanti). Cass. pen., sez. III , n. 42916 del 11 novembre 2022