La cooperazione giudiziaria internazionale: il mandato di arresto europeo.
Sommario:
- 1= Introduzione: il mandato di arresto europeo.
- 2= Diritto di difesa e motivi di rifiuto alla consegna: un recente rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia Ue.
1= Introduzione: il mandato di arresto europeo.
La necessità di una cooperazione internazionale in materia penale, sorge al fine di garantire un coordinamento fra le autorità giudiziarie di Stati diversi e quindi per ottenere una maggiore efficienza in termini repressivi.
Nel nostro paese la materia ha una regolamentazione singolare nel caso in cui lo Stato terzo sia appartenente all’Unione Europea, in quanto, in questo caso, è vigente la normativa speciale prevista per regolare i rapporti all’interno dell’Unione.
Più complessa è invece la disciplina dei paesi situati fuori dall’Europa; infatti, preliminarmente, è necessario accertare se l’Italia ha concluso con gli stessi un accordo, in quanto in tal caso troveranno applicazione le norme pattizie, mentre se tale normativa difetti, si prevede l’applicazione, in via residuale, delle norme del libro XI del codice di procedura penale che disciplina “i rapporti giurisdizionali con autorità straniere“.
In presenza degli indissolubili legami con i Paesi Ue, risulta certamente meritevole concentrare la nostra attenzione sui rapporti con tali Stati. In particolare, si prende atto che il principio generale operativo è quello del “mutuo riconoscimento“, secondo cui i provvedimenti giudiziari emessi dalle autorità dei singoli Paesi UE devono trovare riconoscimento su tutto il territorio nazionale col solo limite del rispetto dei principi fondamentali dello Stato Italiano, di quelli riconosciuti dal Trattato sull’Unione europea e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (art. 696-quinquies c.p.p.).
L’ambito applicativo più significativo in merito a tale principio, riguarda il mandato di arresto europeo, il quale viene emesso da un organo giurisdizionale di uno Stato membro, al fine di processare una persona accusata di un reato (mandato processuale) oppure per eseguire una sentenza di condanna (mandato esecutivo).
La procedura che suscita maggiore interesse è in ogni caso quella “passiva“, che si realizza quando lo Stato Italiano deve dare esecuzione ad una richiesta proveniente da un altro Stato Ue.
Nel nostro paese la competenza è attribuita alla Corte di Appello e riguardo all’instaurazione del procedimento, si ricorda che può prendere origine con una richiesta esplicita, inviata direttamente dall’autorità straniera, oppure in seguito ad un arresto predisposto sulla base di una segnalazione inserita sul sistema informativo Schengen.
Il fulcro della normativa, in termini difensivi, è dato dai motivi di rifiuto alla richiesta, in quanto il loro accertamento preclude la consegna; a titolo esemplificativo, si ricorda che è vietata la consegna quando per gli stessi fatti, di cui si chiede la consegna, sia già stato pronunciato in un Paese Ue un provvedimento irrevocabile (art. 18 lett. m) legge n. 69 del 2005).
Sulla tematica è doveroso ricordare due recenti interventi della Corte Costituzionale, attraverso i quali sono nella sostanza ampliati i casi in cui sia possibile rigettare la richiesta.
Nella prima decisione, pur ritenendo non fondata la questione, si è riconosciuto che sia possibile rifiutare la consegna di una persona con gravi problemi di salute, quando lo Stato richiedente non sia in grado di assicurare alla stessa una tutela sanitaria adeguata (Corte Cost., n. 177 del 2023).
Con la seconda sentenza si è invece dichiarato incostituzionale l’art. 18-bis co. 1 lett. c), permettendo di rifiutare la consegna quando una persona di uno Stato terzo (no UE) risulti residente in Italia e la corte d’appello disponga, sulla base di tale circostanza, che la pena o la misura di sicurezza sia eseguita nel nostro paese (Corte Cost., n. 178 del 2023).
Dopo questi due richiami, nel paragrafo che segue è preso in esame un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia Ue sui motivi di rifiuti facoltativi per “le decisioni pronunciate in assenza” (art. 18 ter l. n. 69 del 2005).
2= Diritto di difesa e motivi di rifiuto alla consegna: un recente rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia Ue.
Si deve premettere nel caso in cui il mandato di arresto europeo sia stato pronunciato per l’esecuzione di una pena, che la Corte di Appello italiana può rifiutare la consegna, se la richiesta non contiene l’indicazione dell’avvenuta conoscenza del procedimento da parte dell’interessato (artt. 6 co. 1-bis lett. d) e 18 ter l. 69 del 2005).
Sul tema è sorto l’interrogativo se possa ritenersi riconducibile a tale motivo di rifiuto di consegna, la circostanza che una persona sia stata condannata in contumacia e priva di un difensore, nonostante che la normativa dello Stato richiedente conceda all’interessato, una volta consegnato, la possibilità di ottenere la ripetizione del giudizio.
La Corte di Cassazione esprime parere positivo, fondando la tesi sul diritto “inviolabile” e quindi irrinunciabile, di difesa che deve essere garantito “in ogni stato e grado del procedimento” secondo l’art. 24 co. 2 della Costituzione, mentre a livello sovranazionale la norma di riferimento richiamata è l’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea, secondo cui il diritto dell’imputato alla difesa tecnica non è rinunciabile.
In particolare, si denunciano le violazioni delle prerogative difensive in tema di prove; infatti nel caso in cui non siano ripetibili, la loro acquisizione nel nuovo procedimento non sarà certamente conforme alle garanzie tipiche del contraddittorio nella loro formazione, con evidenti limiti in tema di attendibilità e certezza giuridica.
Oltre a tale ostacolo, la procedura in questione, potrebbe portare a dover far subire una lunga carcerazione per un provvedimento non definitivo. Tale circostanza viene ritenuta in pieno contrasto con l’orientamento di fondo in tema di libertà personale riconosciuto in tutti i paesi civili, secondo cui è da ritenersi legittimo solo se predisposto per esigenze cautelari, quali il pericolo di fuga o reiterazione del reato e, comunque, per un tempo limitato.
In base a tali rilievi, i giudici di legittimità hanno quindi investito della questione la Corte di Giustizia dell’Unione europea in virtù dell’art. 267 del TFUE (Cass. pen., sez.,VI, ord. n. 50.684 del 29.9.2023).
Chi scrive ritiene che la decisione difficilmente sarà risolutiva, nel senso in grado di escludere la consegna, quando il provvedimento estero è emanato in assenza dell’interessato e di un difensore. Infatti ciò sarebbe in pieno contrasto con il processo di integrazione europea e di leale collaborazione.
E’ più probabile infatti che si investano le corti locali dell’onere di accertare se il paese richiedente potrà offrire garanzie, quali prioritariamente l’esclusione della carcerazione cautelare in virtù del provvedimento per cui si chiede la consegna e solo nel caso in cui tale giudizio sia negativo, ritenere giustificato il rifiuto alla consegna.
Nel caso in cui un mandato di arresto europeo sia emesso ai fini di un’azione penale nei confronti di un cittadino o di una persona che legittimamente ed effettivamente risieda o dimori in via continuativa da almeno cinque anni sul territorio nazionale, la sua esecuzione è subordinata alla condizione che la persona, dopo essere stata sottoposta a processo, sia rinviata nello Stato italiano per scontarvi la pena o la misura di sicurezza privative della libertà personale, eventualmente applicate nei suoi confronti nello Stato membro di emissione.
Cass. pen., sez. VI, n. 43252 del 24 ottobre 2023