Le intercettazioni
Sommario:
- 1=L’equilibrio tra riservatezza e pretesa punitiva dello Stato.
- 2=La linea difensiva.
1=L’equilibrio tra riservatezza e pretesa punitiva dello Stato.
L’acquisizione di informazioni “riservate” tramite dispositivi di intercettazione rappresenta una significativa fonte di conoscenza per gli inquirenti operanti al servizio delle procure della Repubblica. Infatti, attraverso queste apparecchiature, essi possono facilmente accertare se lo stile di vita ostentato da parte di una persona sia il risultato di attività delittuose, scoprire se la professione che esercita sia lecita oppure semplicemente individuare se possa essere il colpevole di un reato.
Sul tema è basilare premettere che la strumentazione idonea a tali ricerche ha subito un radicale cambiamento in seguito all’inarrestabile corsa dell’innovazione tecnologica. Infatti, rispetto ai rudimentali registratori, adesso gli inquirenti possono disporre di software altamente avanzati (cd. trojan horse), in grado di accedere ai dispositivi mobili in uso da chiunque e di sottrarre file all’insaputa dei possessori, oppure attivare il vivavoce di tali apparecchi al fine di registrare conversazioni tra presenti.
Chi delinque professionalmente per “proteggersi“, ha reagito dotandosi di apparecchi che sono in taluni casi più evoluti di quelli in dotazione alle forze dell’ordine. Si ricorda, a tal proposito, l’impiego di telefoni criptati con sim estere, capaci di mettere a dura prova chi voglia in qualche modo tentare di decifrare le chat o le conversazioni scambiate.
In questo contesto, dominato da dispositivi che possono essere anche avveniristici, sorge la questione preminente se nel processo penale le intercettazioni devono trovare dei limiti.
Il dibattito sul tema non si presta a trovare un epilogo, scontrandosi coloro che ritengono l’intercettazione un mezzo insostituibile per ricercare prove che confermino l’accusa e chi ritiene la riservatezza della vita privata come un bene supremo non comprimibile.
Se prendiamo come riferimento i testi normativi, emerge chiaramente che essi invitano a contenere l’uso di questi mezzi di ricerca di prove.
In particolare, nell’art. 15 della Costituzione, si afferma che “la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge“.
Gli articoli 266 e seguenti del codice di procedura penale, in piena conformità con la previsione costituzionale richiamata, disciplinano nel particolare le modalità che devono essere seguite per predisporre legittimamente intercettazioni.
In sintesi possiamo ipotizzare che un ufficio di un p.m. ha ricevuto la notizia della commissione di un reato particolarmente grave, però non è nelle condizioni di individuare con certezza il colpevole. Non avendo altre possibilità per colmare tale vuoto probatorio, chiede l’autorizzazione al giudice per le indagini preliminari per predisporre intercettazioni nei confronti del possibile responsabile, dei suoi interlocutori abituali e di coloro che sono a conoscenza dei fatti per cui si procede.
Di conseguenza, vengono sottoposte a monitoraggio tutte le utenze telefoniche note di cui sono titolari i soggetti indicati; si specifica, che nei casi in cui le indagini sono particolarmente complesse, possono essere utilizzati anche i già richiamati “trojan horse“.
Nel caso in cui sono conseguiti dei risultati apprezzabili in seguito a questa attività, viene redatto, da parte del personale di polizia giudiziaria, un verbale in cui è indicato sinteticamente il contenuto di quanto ascoltato, il quale costituisce un punto di riferimento per l’avanzamento dell’indagine (cd. “brogliacci di ascolto“).
Il limite più significativo che presenta questa procedura è di non garantire la riservatezza, soprattutto quando ha per oggetto conversazioni in cui sono coinvolte persone del tutto estranee ai fatti contestati.
Tale problematica è stata di impulso per il varo dell’intervento correttivo che prende nome di “decreto Nordio” (convertito in legge n. 114 del 9.8.2024).
Nella sostanza, con tale provvedimento si vieta di pubblicare il testo di tutte le intercettazioni, salvo quelle il cui contenuto è stato “riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso del dibattimento” (articoli 114 co. 2 bis, 268, 415 bis e 454 c.p.p.).
L’ufficio del p.m. è tenuto a vigilare affinché non siano riportati “fatti e circostanze afferenti alla vita privata degli interlocutori, nonché quelle che consentono di identificare i soggetti diverse dalle parti, salvo che risultino rilevanti ai fini delle indagini” (art. 268 co. 2 bis c.p.p.).
Secondo diverse opinioni la normativa delineata viene ritenuta scarsamente efficace nel garantire l’intento che si è prefissato; infatti la clausola della rilevanza, da ultimo richiamata, può essere facilmente strumentalizzata a discapito della segretezza. Inoltre non è stato previsto un sistema sanzionatorio, compatibile con i valori che le intercettazioni possono compromettere; si ricorda, a tal proposito, che i trasgressori sono al più perseguibili per la contravvenzione dell’art. 684 c.p., la quale è estinguibile attraverso il semplice pagamento di una somma di denaro a titolo di oblazione.
2=La linea difensiva.
Il tratto maggiormente tipico dell’intercettazione è di essere predisposta “a sorpresa“, per l’evidente motivo per cui una notizia riservata è acquisibile solo se gli interessati sono ignari di essere ascoltati.
Per tale ragione l’intervento del difensore, durante la fase di registrazione delle conversazioni, è pressoché assente.
Una volta, però, che sono terminate le operazioni e l’accusa ha concluso le indagini, il difensore ha diritto di ascoltare le registrazioni, esaminare ed estrarre copia della documentazione prodotta (art. 415 bis co. 2 bis c.p.p.).
E’ in questo momento che potranno essere predisposte contestazioni nei confronti dell’attività ultimata dagli organi inquirenti, suggerite anche da eventuali consulenti di parte.
A titolo esemplificativo, si ricorda la circostanza che il reato non rientra tra quelli intercettabili oppure l’assenza di “eccezionali ragioni di urgenza“, che hanno giustificato il compimento delle operazioni fuori dai locali della procura della Repubblica (articoli 270 e 271 c.p.p.).
Esaurito il tempo per l’esame della documentazione, si passa alla fase dell’acquisizione vera e propria dei risultati (art. 268 co. 7 c.p.p.).
A tal fine è ordinata la trascrizione nelle forme della perizia delle conversazioni indicate dalle parti e ritenute dal giudice rilevanti.
Risulta ovvio che tale attività è delicatissima, in quanto la trasposizione del parlato intercettato allo scritto può essere esposta al pericolo di travisamento rispetto al reale significato delle parole pronunciate. Infatti una parola scritta può essere pronunciata in modi diversi, l’uso di dialetti può ostacolare la chiara comprensione e inoltre non è sempre chiara la ricognizione fonetica delle voci registrate.
Secondo gli esperti di settore è da ritenersi quindi “inaffidabile” una trascrizione troppo “pulita“, che non tiene conto di tali rilievi o, comunque, non indica le varie alternative possibili. Di conseguenza, se il difensore rileva tale anomalia, dovrà certamente denunciarla, al fine di indebolire la credibilità delle informazioni ottenute tramite le intercettazioni.
Rispetto al percorso delineato risulta, però, operativa una prassi che è più penalizzante per la difesa.
Infatti, non è raro, che siano ammesse testimonianze del personale di polizia giudiziaria sul contenuto delle comunicazioni intercettate, senza che sia predisposta alcuna trascrizione. In particolare si afferma che “la prova è costituita dalla bobina o dalla casetta…e la mancata trascrizione non è espressamente prevista …tra le disposizioni la cui inosservanza determina l’inutilizzabilità.. né è riconducibile alle ipotesi di nullità” (Cass. pen., sez. I, n. 41.632 del 3.5.2019).
E’ evidente che tale pratica è oggetto di riserve in fatto di attendibilità della deposizione e quindi è auspicabile che non trovi operatività nelle aule giudiziarie. Infatti, nonostante contribuisca ad accelerare i tempi processuali, “snatura” la prova testimoniale che in questo caso non ha per oggetto un’esperienza vissuta direttamente del dichiarante, ma il semplice ascolto di una conversazione. Inoltre, si sottolinea che questo “testimone” ha partecipato attivamente alle indagini, di conseguenza ha una naturale inclinazione accusatoria, che può compromettere la sincerità della deposizione.
La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili.
La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge.
Art. 15 della Costituzione.