Le misure cautelari personali: la custodia in carcere

Sommario:

  • 1=Introduzione: la custodia cautelare in carcere.
  • 2=L’applicazione delle misure cautelari: l’analisi di un caso concreto.

1=Introduzione: la custodia cautelare in carcere.

Costituisce un dato oggettivo che i tempi processuali non sono brevi ed è quindi possibile che occorrano anni, affinché il provvedimento conclusivo di un procedimento diventi definitivo. Durante tale periodo può, pertanto, sorgere il pericolo che le fonti di prova si disperdano, l’imputato sia irreperibile rendendo impossibile l’esecuzione di una potenziale sentenza di condanna a pena detentiva, oppure che commetta ulteriori reati.

Le misure cautelari personali mirano a prevenire tali pericoli, attraverso provvedimenti provvisori e immediatamente esecutivi, che comportano gravi limitazioni delle libertà fondamentali.

Se prendiamo come riferimento “la libertà personale“, che rappresenta certamente quella più significativa, dobbiamo rilevare che fruisce della riserva di legge assoluta da parte dell’art. 13 co. 2 della Costituzione, pertanto la legge deve prevedere espressamente “i casi e i modi” nei quali un provvedimento dell’autorità giudiziaria limiti tale libertà.

Il codice di procedura penale assolve a tale precetto, dedicando alle misure in esame l’intero libro IV.

Ai fini esemplificativi si ritiene di concentrare l’attenzione sulla custodia cautelare in carcere, che costituisce la misura cautelare più penalizzante per il destinatario.

Preliminarmente si rileva che l’afflittività di tale misura si concretizza non solo per l’ovvia limitazione di movimento, ma anche per il tempo di durata, il quale può protrarsi per un periodo considerevole rispetto alla conclusione del procedimento penale. L’unica eccezione ai termini in esame si registra per l’esigenza cautelare della “genuinità” della prova, che non può avere un tempo superiore a 90 giorni in virtù dell’articolo 301 co. 2 ter c.p.p.

Un ulteriore elemento tipico attiene alla possibilità della pubblicazione sulla stampa del provvedimento che la misura dispone, in quanto con ciò si rientra in uno dei casi particolari in cui un atto non è garantito dal segreto processuale.

Al momento si rileva che l’attuale maggioranza politica abbia intenzione di limitare l’ambito dell’eccezione, consentendo l’immediata pubblicazione di una sintetica esposizione del caso e solo con la conclusione delle indagini dell’intera ordinanza applicativa; secondo chi scrive, anche se l’intento troverà applicazione, non è certamente soddisfacente, in quanto la diffusione prima della sentenza definitiva delle notizie inerenti un provvedimento cautelare è certamente incompatibile con la presunzione di innocenza riconosciuta dall’art. 27 co. 2 della Costituzione, che deve essere ritenuta prevalente rispetto alla libertà di stampa, essendo attinente ad un diritto fondamentale della persona e come tale inviolabile; risulta pertanto auspicabile che l’eccezione in questione trovi abrogazione nella sua totalità e quindi anche per l’ordinanza in esame valga il divieto di pubblicazione (art. 114 co. 2 c.p.p.).

Oltre ai rilievi precedenti, si ricorda che le misure che applicano la custodia in carcere sono predisposte senza un contraddittorio anticipato con la difesa; solo nel caso dell’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione del reato l’attuale normativa consente “un interrogatorio preventivo” (art. 291 co. 1 quater c.p.p.).

Dai richiami evidenziati, è evidente che risulta gravemente compromesso per chi si trova ad essere destinatario della misura in questione il margine difensivo, il quale è ulteriormente penalizzato dal fatto che, per predisporre un eventuale impugnazione, viene concesso solo il tempo di dieci giorni, infinitamente minore a quello dell’accusa che ha avuto mesi o addirittura più di un anno per approfondire il caso.

Le esigenze cautelari richiamate all’inizio del paragrafo possono essere certamente di alto profilo, tuttavia nell’ultimo periodo si è registrato un incremento esponenziale dei provvedimenti in esame, con evidenti tensioni con l’eccezionalità della loro impiego come previsto dal richiamato art. 13 della Costituzione.

Un argine a tale utilizzo è stato “provvidenzialmente” predisposto dalle pronunce della Corte Costituzionale e dagli atti normativi dell’Unione Europea i quali hanno trovato “occasionali” accoglimenti da parte del legislatore nazionale.

A tal proposito, si ricordano gli interventi che hanno escluso il diritto al “silenzio” tra gli elementi di valutazione dell’esigenza cautelare del pericolo di inquinamento probatorio e quelli che hanno limitato le “presunzioni assolute” di adeguatezza della carcerazione cautelare in carcere (articoli 274 lett. a) e 275 co. 3 c.p.p.).

Inoltre si menziona la recente introduzione del citato interrogatorio “preventivo” di cui all’art. 291 c.p.p., il quale ha finalmente limitato il provvedimento cautelare “a sorpresa“. L’aspettativa è che in futuro tale interrogatorio trovi un’applicazione per tutte le ipotesi di cautela dell’art. 274 c.p.p., al più prevedendo casi di esclusione per motivi di “eccezionale” rilevanza.

Infine non può mancare il richiamo al divieto dei colloqui con il difensore, al fine di “im-piegare” la custodia cautelare, per ottenere una collaborazione investigativa dell’interessato; dal 2017 infatti tale provvedimento, di durata massima di 5 giorni, è limitato solo per i reati di cui all’art. 51 co. 3 bis e 3 quater c.p.p.

Indubbiamente si auspica che in futuro sia disposta l’abrogazione dell’intero testo dell’art. 104 che regolamenta la materia anche per le ipotesi residuali richiamate. Infatti è evidente che il divieto in esame rappresenta una lesione del diritto di difesa, il quale è riconosciuto in ogni stato del procedimento dall’art. 24 della Costituzione ed è del tutto paradossale che, proprio in merito ai reati più gravi, per cui serve un maggiore confronto tecnico, non sia previsto un incontro immediato con il difensore.

In base ai rilievi elencati precedentemente, risulta evidente che l’argomento è in continua evoluzione, quindi è fondamentale avvalersi di un difensore che possa essere di ausilio per il destinatario di un provvedimento cautelare.

2=L’applicazione delle misure cautelari: l’analisi di un caso concreto.

Per agevolare la comprensione sulla normativa che regola l’applicazione delle misure cautelari, si è ritenuto opportuno prendere come riferimento un caso concreto.

La vicenda ha per oggetto un giovane dell’età di anni 27 che viene sottoposto alla custodia in carcere con provvedimento del Gip, in quanto accusato di avere commesso una rapina in un locale del centro città. In particolare, si afferma che sarebbe entrato a volto coperto nel negozio e avrebbe puntato un coltello all’altezza della gola del titolare, al fine di ottenere l’incasso della giornata, riuscendo a fuggire con il denaro, in sella al proprio ciclomotore.

Gli organi inquirenti riescono a risalire all’odierno indagato sulla base del numero della targa del mezzo, fornita da alcuni passanti e dalle immagini risultanti dagli impianti di videosorveglianza presenti nella zona, le quali confermerebbero che l’autore del fatto avrebbe la solita altezza e corporatura della persona in custodia.

Le esigenze cautelari ritenute sussistenti inizialmente sono il pericolo di fuga e di reiterazione del reato. In sede di interrogatorio di garanzia, l’uomo si difende, affermando che il giorno del fatto si trovava fuori città e, per confermare tale tesi, il difensore deposita una dichiarazione del datore di lavoro, che riconosce tale versione. Il giudice, in seguito a tale confronto, decide che la carcerazione è una misura sproporzionata e la sostituisce con l’obbligo di dimora.

Nell’esempio riportato possono essere rilevati tutti gli elementi processuali che caratterizzano le misure oggetto della presente trattazione e che si ritiene di ripercorrere per spiegarne il funzionamento.

Preliminarmente, riguardo alla competenza, le misure cautelari sono richieste dal pm e rivolte al giudice che procede al momento della presentazione della domanda; nel caso richiamato la competenza è del Gip, essendo il procedimento in fase di indagini preliminari.

Il destinatario è sentito solo in sede di interrogatorio, entro 5 giorni dall’esecuzione del provvedimento, in quanto si è ritenuto sussistente il pericolo di fuga, che non consente il contraddittorio anticipato secondo l’art. 291 co. 1 quater c.p.p.

Ai fini dell’adozione della custodia in carcere, la legge richiede preliminarmente che il reato contestato sia riconducibile ad uno dei casi gravi indicati nell’art. 280 co. 2 c.p.p.; nel caso di specie il reato di rapina vi rientra sicuramente in termini di limiti massima di pena, essendo punito fino a 10 anni.

L’art. 273 c.p.p. esige inoltre l’esistenza di “gravi indizi di colpevolezza“, nel senso che gli elementi raccolti devono essere seriamente idonei nel fondare la responsabilità per il fatto contestato. Nella vicenda in esame sia i filmati che la titolarità del mezzo sono stati ritenuti sufficienti per l’adozione ma non per la conferma; infatti la giustificazione predisposta dalla difesa ha messo seriamente in dubbio gli indizi forniti dall’accusa.

In merito all’esigenza cautelare del pericolo della reiterazione del reato, la normativa specifica che non può essere desunta “esclusivamente dalla gravità del titolo” del reato addebitato, bensì deve essere ricavata “da comportamenti o atti concreti o dai precedenti penali“, che devono essere espressamente indicati nel provvedimento; si puntualizza inoltre che rileva “anche il tempo trascorso dalla commissione del reato” (art. 274, 292 co. 2 lett. c, c-bis c.p.p.).

Nel fatto preso come esempio, l’uomo è risultato privo di precedenti, la sua versione difensiva è risultata credibile ed inoltre, rispetto all’accaduto, non si sono registrate ulteriori denunce che facessero pensare ad una possibile reiterazione del reato; tutti elementi da cui si deduce che difficilmente potrà commettere ulteriori reati, al più, infatti, potrà fare un tentativo di fuga.

Infine la normativa di riferimento prende in esame i criteri di scelta delle misure; in particolare, accertati i gravi indizi di colpevolezza e le esigenze cautelari, è necessario scegliere la misura più adatta al caso concreto. In base all’art. 275 c.p.p. si richiede “l’adeguatezza” rispetto al caso, “la proporzione” alla gravità del fatto e alla sanzione che potrà essere applicata e “la gradualità” nel senso che la custodia in carcere può essere mantenuta solo quando ogni altra misura risulti inadeguata.

Nel caso in esame la conferma della custodia in carcere è stata ritenuta eccessiva e l’esigenza cautelare del pericolo di fuga è ritenuta garantita dal meno grave obbligo di dimora ex art. 282 c.p.p. La difesa potrà comunque impugnare il provvedimento entro il termine di 10 giorni; in tale sede i giudici del riesame potranno ritenere che gli elementi acquisiti non siano neppure sufficienti per integrare il pericolo di fuga e quindi disporre anche la revoca dell’obbligo di dimora, permettendo all’interessato di attendere in piena libertà l’evoluzione del procedimento.

La libertà personale è inviolabile.
Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi
altra restrizione della libertà personale, se non per
atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.
In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge l’autorità di
pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro
quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive
quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto.
Art. 13 commi 1 , 2 e 3 della Costituzione.