Le misure di prevenzione previste dal codice antimafia e dalle leggi speciali

Sommario:

  • 1=Introduzione.
  • 2=Le misure di prevenzione antimafia.
  • 3=Il daspo.

1=Introduzione.

Le misure di prevenzione costituiscono dei provvedimenti incidenti sulle libertà personali e sul patrimonio, che vengono addottati nei confronti di chi risulta pericoloso per la sicurezza pubblica. La loro funzione è quella appunto di prevenire la commissione di reati o quanto meno renderne la realizzazione più difficoltosa.

Si riferisce l’esempio classico di chi è “sospettato” di vivere con il provento di reati; in tal caso può essere promosso nei suoi confronti un procedimento di prevenzione, il cui esito può essere l’applicazione della “sorveglianza speciale di pubblica sicurezza“; in concreto, nei confronti di tale soggetto, sono imposte una serie di prescrizioni, tra le quali possiamo ricordare quella di ricercarsi in tempi brevi un lavoro onesto, di fissare la propria dimora e farla conoscere all’autorità di pubblica sicurezza e non allontanarsene senza preventivo avviso di tale autorità.

Il principale testo normativo in tema di misure di prevenzione è il d.lgs. n. 159 del 2011 (codice antimafia), il quale è stato oggetto di censure sia da parte della giurisprudenza sovranazionale che di quella interna, soprattutto in merito alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, accennata precedentemente.

In particolare, riguardo alla prima, si ricorda la famosa sentenza De Tommaso contro Italia della Grande Camera della Corte Europea dei diritti dell’uomo del 23 febbraio 2017, che ha ritenuto carente di determinatezza e quindi incompatibile con l’art. 2 prot. 4 della Convenzione le prescrizioni di “vivere onestamente e rispettare le leggi“.

In merito alla giurisprudenza nazionale, gli interventi più significativi ed emblematici sono quelli della Corte Costituzionale con le sentenze n. 24 e 25 del 2019.

In particolare, con la prima decisione si è dichiarata incostituzionale la misura della sorveglianza speciale prevista dall’art. 1 lett. a) del cod. antimafia, nei confronti di coloro che “debbono ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dedite a traffici delittuosi“. In concreto, si è riconosciuto che il concetto di “traffico delittuoso” non è chiaro e quindi si pone in attrito con le esigenze di certezza imposte dall’artt. 13 e 117 co. 1 della Costituzione.

Per quanto riguarda la seconda sentenza, si prende atto che ha recepito le riserve espresse dalla Corte Edu delineate in precedenza e si è conseguentemente dichiarato incostituzionale il reato di cui all’art. 75 co. 2 cod. antimafia nella parte in cui si sanzionava l’inosservanza delle prescrizioni di “vivere onestamente e rispettare le leggi“.

Dopo questa breve introduzione sul tema, nei paragrafi che seguono sono approndite le singole tipologie di misure di prevenzione previste nel codice antimafia e in tema di daspo.

2=Le misure di prevenzione antimafia.

Nel codice antimafia le misure di prevenzione si distinguono in personali e patrimoniali, in rapporto alla circostanza che siano volte a limitare la libertà personale oppure a privare di beni che si ritiene siano derivati da attività illecite; ad esse si aggiunge “l’interdittiva antimafia“, predisposta al fine di impedire l’instaurazione di rapporti economici con la pubblica amministrazione per i soggetti che si trovano in una situazione di possibile collegamento con la criminalità.

Nel prosieguo della trattazione sono approfondite singolarmente le ipotesi richiamate.

= Le misure di prevenzione personali presuppongono che una persona sia pericolosa socialmente sulla base degli indici individuati nelle lettere b) e c) dell’art. 1 e nell’art. 4 cod. ant.

In merito ai primi, si parla di pericolosità “generica” , riferendosi “a coloro che vivono abitualmente, in tutto o in parte, di proventi di attività delittuose” e per coloro “che sono dediti alla commissione di reati che offendono o  mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza e la tranquillità pubblica“.

L’art. 4, invece, disciplina la pericolosità “qualificata“, in quanto regolamenta i casi di chi è indiziato di gravi reati quale, a titolo esemplificativo, l’associazione di stampo mafioso prevista dall’art. 416 bis c.p.

Riguardo all’organo competente per l’applicazione delle misure in esame, si ricorda che “il foglio di via obbligatorio” e “l’avviso orale” sono adottati direttamente dal questore, mentre “la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, il divieto o l’obbligo di soggiorno e di dimora” sono disposti dall’autorità giudiziaria tramite un procedimento disciplinato dall’art. 7 e ss. cod. ant.

Si può osservare che le misure delineate sono altamente afflittive e hanno anche una durata considerevole; nonostante ciò, è operativo un sistema applicativo “relativamente” garantista in termini di accertamento della pericolosità; infatti si fonda su un giudizio discrezionale, incentrato principalmente su elementi che sono solo “indice” di una possibile responsabilità penale.

Il margine difensivo in questi casi si concretizza nel proporre una versione alternativa e convincente che smentisca la tesi accusatoria, ad esempio, producendo documentazione che dimostri lo svolgimento di un’attività lavorativa lecita, che sia compatibile con il tenore di vita.

L’eventuale irrogazione della misura è impugnabile con ricorso alla Corte di Appello entro 10 giorni dalla comunicazione, tuttavia si specifica che non ha effetto sospensivo.

= Le misure di prevenzione patrimoniali hanno per oggetto i beni di proprietà della persona ritenuta pericolosa in virtù degli gli artt. 1 e 4 cod. ant. citati testualmente in precedenza.

La principale figura di riferimento è costituita dal sequestro e della successiva confisca di beni che hanno un valore “sproporzionato” al proprio reddito e di cui non si sia nelle condizioni di giustificarne la legittima provenienza.

Al fine di rendere i provvedimenti in questione compatibili con il diritto di proprietà, di libera iniziativa economica e di presunzione di innocenza riconosciuti dall’artt. 27, 41 e 42 della Costituzione, la giurisprudenza ha individuato dei limiti per la loro applicazione.

Infatti all’accusa è imposto di provare che l’acquisto dei beni, oggetto di spossessamento, deve essere stato compiuto con il denaro accumulato dall’esercizio di un’attività delittuosa ed essere temporalmente collocato nel periodo successivo al sorgere della pericolosità; in termini difensivi si può quindi dedurre che l’eventuale mancato assolvimento di tale onere probatorio, può essere un valido espediente per contestare l’irrogazione della misura (Cass. pen., sez. II, 14165 del 13.3.2018).

Di recente si è inoltre affermato che il sequestro di prevenzione è da ritenersi escluso per i fatti di cui si è beneficiato di un’assoluzione (Cass. pen., sez. VI, n. 45280 del 10.12.2024).

In tema di misure di prevenzioni patrimoniali, risultano operative negli artt. 34 e 34 bis cod. ant. anche le figure dell’amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche e delle aziende e il controllo giudiziario delle aziende.

Entrambe prevedono la predisposizione di un piano di bonifica, quando l’imprese non sono nelle condizioni di operare liberamente per intimidazioni mafiose oppure possono agevolare la consumazione di reati particolarmente gravi.

In particolare, con la prima viene nominato un amministratore, il quale assume la dirigenza dell’impresa con la funzione di risanarla e risolvere la difficoltà.

Diversamente, il controllo giudiziario interviene quando la difficoltà è solo “occasionale” e quindi è facilmente risolvibile con un percorso di recupero; in questa ipotesi l’amministratore ha una mera funzione ispettiva, con l’obbligo di riferire periodicamente al giudice delegato gli esiti dell’attività.

Specifica attenzione deve essere posta al profilo soggettivo addebitabile a titolo di colpa; infatti i provvedimenti in esame presuppongono la mancata predisposizione di un sistema gestionale idoneo a prevenire le aree di rischio più vulnerabili, oggetto di protezione dalla normativa richiamata.

Sul versante difensivo si tratta quindi di valutare se ci siano le condizioni per smentire gli elementi forniti dall’accusa; risulterà decisivo a tal proposito provare l’esistenza di un sistema operativo interno dell’impresa improntato sulla legalità, sulla selezione degli interlocutori sospetti e sul controllo periodico sull’attività dei fornitori.

=La documentazione antimafia.

Il codice antimafia regolamenta negli articoli 84 e seguenti la documentazione finalizzata a selezionare le imprese che intendono intrattenere rapporti con la pubblica amministrazione, escludendo quelle legate ad organizzazioni criminali.

L’informazione interdittiva è la forma di documentazione che presenta maggiori criticità per la difesa, in quanto è predisposta dal prefetto non solo in presenza delle cause di decadenza tipiche di contrattare con la p.a. di cui all’art. 67, ma anche in seguito al riconoscimento della sussistenza di infiltrazioni mafiose risultanti da accertamenti che lo stesso prefetto può disporre ai sensi delle lett. d) ed e) dell’art. 84 co. 4 cod. ant.

In concreto egli assume la titolarità di un autonomo potere di accertamento di natura discrezionale, in cui la partecipazione al procedimento da parte del destinatario dell’interdittiva è solo eventuale, in quanto può essere esclusa in caso di “particolari esigenze di celerità del procedimento“; inoltre può essere negato l’accesso alla documentazione “il cui disvelamento sia idoneo a pregiudicare procedimenti amministrativi o attività processuali in corso, ovvero l’esito di altri accertamenti finalizzati alla prevenzione delle infiltrazioni mafiose” (art. 92 co. 2 bis).

Per la difesa si tratterà di valutare se ci siano le condizioni per predisporre un ricorso al Tribunale amministrativo territorialmente competente, che contesti la legittimità del provvedimento prefettizio; tale impugnazione infatti ha l’effetto vantaggioso di sospendere temporaneamente l’interdittiva, se viene promossa la richiesta di controllo giudiziario “volontario” dell’azienda al tribunale competente per le misure di prevenzione (art. 34 bis co. 6 e 7 cod. antimafia).

Sulla tematica si ricorda un recente orientamento che ritiene censurabile il provvedimento quando non tiene conto della tipologia dei tentativi di infiltrazione criminosa, ai fini della documentazione in esame. Infatti se gli stessi sono “occasionali” in virtù della previsione dell’art. 94 bis, l’autorità amministrativa deve sollecitare l’impresa a predisporre una serie di misure per risolvere la problematica; alla scadenza del periodo infatti si dovrà valutare se l’agevolazione sia ancora sussistente e, in caso negativo, si potrà eventualmente rilasciare l’informazione liberatoria (Tar Reggio Calabria n. 598 del 5.7.2023).

3=Il daspo.

=Il daspo sportivo.

La più significativa misura di prevenzione prevista da una legge diversa dal codice antimafia, è certamente il D.a.spo., il quale rappresenta l’acronimo di “divieto di accedere alle manifestazioni sportive” ed è stato introdotto nel nostro ordinamento con la legge n. 401 del 13.12.1989 per contrastare la violenza inerente al giuoco del calcio.

I casi che permettono l’applicazione del provvedimento sono quelli riconducibili alle lettere a), b), c), d) dell’art. 6 della legge citata; nella sostanza si applicano nei confronti di chi è denunciato per fatti che possono porre in pericolo la sicurezza pubblica o creare turbative per l’ordine pubblico, commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive.
Il provvedimento viene irrogato dal questore e consiste nel divieto di accedere ai luoghi in cui si svolgono le competizioni sportive; avendo natura amministrativa, presuppone l’avviso dell’avvio del procedimento ex art. 7 l. n. 241 del 1990 per consentire all’interessato di presentare memorie difensive, salvo le ipotesi in cui è adottato in via d’urgenza.

Il Daspo è impugnabile con ricorso al Tar oppure con ricorso gerarchico al Prefetto entro 60 giorni dalla notifica; è previsto inoltre l’ordinario ricorso straordinario al Presidente della Repubblica entro 120 giorni dalla notifica. Ai fini della legittimità del provvedimento, si ricorda che deve essere supportato da un’adeguata istruttoria e da una conseguente appropriata motivazione, con particolare riferimento ai singoli episodi di violenza, che possono essere indice della necessità della misura di prevenzione in questione, pertanto la loro carenza può essere un valido motivo di impugnazione.

Il divieto di accesso può essere inoltre accompagnato dall’obbligo di comparire personalmente in un determinato luogo nel corso della giornata in cui si svolgono le manifestazioni per cui è stato predisposto (art. 6 comma 2). In tal caso il provvedimento deve essere convalidato dal giudice per le indagini preliminari nel  termine perentorio di 48 ore; avverso tale decisione è ammesso ricorso per cassazione.

Si specifica che nel caso in cui per i fatti in questione si sia anche denunciati ed eventualmente condannati in sede penale, il Daspo viene irrogato direttamente dal giudice penale ed è immediatamente esecutivo (daspo giudiziario). In questa eventualità per le impugnazioni si segue il regime ordinario previsto per la sentenza di condanna e quindi l’appello e il ricorso per cassazione (art. 6 co. 7).

Quando il provvedimento non sia impugnato, cessa alla scadenza del termine previsto (massimo 5 anni); si puntualizza che comunque può essere sempre modificato o revocato qualora siano venute meno o siano mutate le condizioni che ne hanno giustificato l’emissione.

=Il daspo urbano.

Il daspo è previsto inoltre dagli artt. 9, 13 e 13 bis del d.l. n. 14 del 2017, mirando, in questi casi, a sanzionare chi contribuisce al degrado urbano, spaccia stupefacenti o crea disordini nei locali pubblici. Il provvedimento è predisposto direttamente dalla polizia per la prevenzione del degrado urbano e negli altri casi dal questore.

Sulla conformità al testo costituzionale del provvedimento in esame si è recentemente espressa la Corte Costituzionale. In particolare, un uomo con diversi precedenti penali, aveva chiesto denaro alle persone che stavano acquistando titoli di viaggio presso le macchine automatiche presenti nella stazione di S. M. Novella di Firenze, impedendone la regolare fruizione; per tale comportamento aveva ricevuto dal questore diversi provvedimenti di divieto, i quali erano stati violati con conseguente denuncia in sede penale.

Il giudice di merito, competente per l’accertamento del reato, ha espresso riserve di costituzionalità, ritenendo che il provvedimento sia in contrasto con il principi di uguaglianza e di libertà di circolazione previsti dall’artt. 3 e 16 del testo della Carta.

La Corte, però, non condivide le indicazioni suggerite dal giudice rimettente, in quanto preliminarmente afferma che il daspo urbano mira a tutelare l’incolumità delle persone che transitano nelle zone protette e non il mero decoro urbano e quindi risulta conforme all’art. 16.

In merito al principio di uguaglianza si afferma che il legislatore ha ritenuto prevalente la tutela della mobilità e del flusso delle persone rispetto alla libertà dei singoli individui, scelta che non è ritenuta irragionevole e pertanto conforme al testo costituzionale (Corte Costituzionale n. 47 del 2024).

In base a questa autorevole decisione, dobbiamo quindi rilevare che il daspo costituisce una misura contestabile solo quando viene irrogata in assenza dei presupposti tipici o comunque delle garanzie procedurali riconosciute dalla normativa di riferimento. Spetterà quindi al difensore riconoscere la presenza di tali anomalie e farle valere nell’interesse del cliente.

Una norma è prevedibile quando offre una misura di protezione contro le ingerenze arbitrarie da parte delle autorità pubbliche.
Sentenza De Tommaso contro Italia, Corte Edu, del 23 febbraio 2017.