Ricettazione, riciclaggio, impiego di beni di provenienza illecita e autoriciclaggio

Sommario:

  • 1=Introduzione sulla tematica: l’autoriciclaggio.
  • 2= Il “quantum” confiscabile nella confisca per equivalente.


1=Introduzione sulla tematica: l’autoriciclaggio.

L’intensificazione dei rapporti transfrontalieri, la libera circolazione delle merci e dei capitali hanno certamente favorito la gestione di denaro e di beni aventi una provenienza illecita; per arginare tale espansione gli Stati moderni hanno predisposto un sistema di contrasto caratterizzato da strumenti preventivi di vigilanza e di trasparenza, oltre al reclutamento di personale altamente specializzato.

In ambito penale le fattispecie di riferimento sono la ricettazione (art. 648 c.p.), il riciclaggio (art. 648 bis c.p.), l’impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (art. 648 ter c.p.) e l’autoriciclaggio (art. 648 ter.1, c.p.).

L’elemento che le contraddistingue è la gestione di un bene derivante dalla consumazione di un reato (il c.d. reato presupposto). Potrebbe essere, a titolo esemplificativo, l’alto interesse ottenuto da un prestito usuraio, che viene successivamente “ripulito” in vari modi per poi essere rimesso in circolazione come utile lecito.

Ciò premesso si prende atto che fino al 2014 l’autore di tale reato-presupposto godeva del cosiddetto “privilegio di autoricettazione e autoriciclaggio“; infatti la clausola di riserva “fuori dei casi di concorso nel reato“, presente nel testo dell’incriminazioni richiamate, permetteva che lo stesso non potesse essere perseguito per la successiva attività riciclatoria in quanto per la stessa erano perseguibili solo “le persone terze” che non avevano preso parte all’approvvigionamento di tale bene.

Il contesto normativo delineato è però mutato con la legge n. 186 del 15.12.2014; infatti si è introdotto nel nostro ordinamento il reato di autoriciclaggio, in base al quale l’autore del reato da cui proviene il bene viene chiamato a rispondere penalmente anche della condotta successiva, quando ha impiegato tale bene “in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative” (art. 648 ter.1 c.p.).

In seguito all’introduzione di tale fattispecie sono sorte le seguenti questioni interpretative.

a) La compatibilità con il principio del “ne bis in idem“.

La prima problematica riguarda la compatibilità del reato con il principio del “ne bis in idem sostanziale” implicitamente riconosciuto dall’articoli 15 e 84 c.p., secondo cui più norme non possono essere applicate contemporaneamente per un medesimo fatto.

Per risolvere tale questione, si richiede che la condotta autoriciclatoria deve essere diversa e successiva rispetto a quella integrante il reato-presupposto; in un caso specifico, un amministratore si era limitato a trasferire delle somme dal conto di un condominio a società estere per fini speculativi personali e quindi è stato deciso che tale condotta non integrasse il reato in questione, mancando una condotta “ulteriore” rispetto a quella tipica del reato di appropriazione indebita (Cass. pen., sez. II, n. 7074 del 23.2.2021).

b) Il reato di pericolo “concreto“.

Un altro aspetto di interesse, ai fini del contenimento della fattispecie, è dato dalla presenza dell’avverbio “concretamente” nel testo della norma, riferito alla capacità della condotta riciclatoria di ostacolare il recupero del bene. Infatti in virtù di tale carattere sono ritenute penalmente perseguibili solo quelle attività che sono effettivamente capaci di impedire la reperibilità del bene in termini appunto di pericolo concreto.

In conformità a ciò si è escluso l’autoriciclaggio per chi ha versato su un proprio conto corrente i proventi di un reato contro il patrimonio. Infatti è risultata assente in tale condotta la re-immissione nel circuito economico del bene di provenienza illecita e il conseguente ostacolo al recupero necessario per integrare il reato (Cass. pen., sez. II, n. 33074 del 14.7.2016).

c) La non punibilità per “il godimento personale“.

Un ulteriore particolarità della fattispecie riguarda la previsione del quarto comma secondo cui “non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale“.

Nonostante il tenore della formula alluda ad un evidente funzione delimitativa, si prende atto che non ha trovato un’ampia operatività. Infatti si afferma che con l’autoriciclaggio si sono volute fronteggiare le azioni che avessero come fine quello di inquinare l’economia nazionale, con operazioni aventi per oggetto beni dal valore significativo. Pertanto l’inciso “godimento personale“, ai fini dell’esclusione del reato, deve riferirsi esclusivamente a situazioni che coinvolgono beni primari, come di chi, dopo essersi appropriato di una modesta somma di denaro, acquista con la stessa un genere alimentare e lo consumi immediatamente (Cass. pen., sez. II, n. 4855 del 22.12.2022).

d) Concorso di reati.

Un ultimo accenno merita il concorso del reato di autoriciclaggio con i reati in tema di crisi dell’impresa e con quelli tributari.

In particolare, in merito ai primi, viene in esame il reato di bancarotta distrattiva la quale, come nell’autoriciclaggio, prevede che l’agente realizzi una condotta dispositiva.

Su tale punto la giurisprudenza avanza la soluzione ispirata ai già ricordati criteri di “diversità e successione“, il cui effetto è quello di attribuire ai due reati uno spazio autonomo di operatività.

Infatti si afferma che, per integrare il reato di autoriciclaggio, è richiesta “un’attività ulteriore” e quindi successiva rispetto alla sottrazione di risorse dall’impresa, che denoti l’attitudine dissimulatoria della condotta rispetto alla provenienza delittuosa del bene; a tal proposito viene ricordato l’esempio della creazione di diverse società “cloni” intestate a prestanome che abbiano la finalità di gestire tali risorse (Cass. pen. sez. V, n. 20152 del 21.5.2024).

La seconda tipologia di illeciti che possono risultare connessi con l’autoriciclaggio, sono i reati tributari, quando, in seguito alla consumazione di quest’ultimi, si ottengono illegittimi “risparmi d’imposta“, che sono successivamente oggetto di operazioni finanziarie od economiche (Cass. pen., sez. II, n. 7259 del 24.2.2020).

Si riferiscono due casi in cui il reato di autoriciclaggio non è ritenuto configurabile, nonostante l’impiego di denaro derivasse da un omesso versamento di imposte. Entrambi sono accomunati dal fatto che il reato tributario non si è consumato.

Il primo si registra con il mancato superamento della soglia di punibilità necessario per la configurabilità dello stesso reato tributario (Cass. pen., sez. II, n. 11986 del 18.2.2021).

Una seconda ipotesi è inerente alla consumazione dei reati tributari-dichiarativi; in particolare, si ricorda che la stessa coincide con la presentazione della relativa dichiarazione e quindi nell’anno successivo a quello del conseguimento del profitto. Nell’eventualità in cui quest’ultimo sia oggetto di gestione nel periodo precedente alla presentazione della dichiarazione, il reato di autoriciclaggio non risulta quindi concepibile, mancando il reato tributario-presupposto (Cass. pen., sez. II, n. 30.889 del 5.11.2020).

2= Il “quantum” confiscabile nella confisca per equivalente.

Nel caso di condanna o patteggiamento per i reati di riciclaggio, impiego di beni e autoriciclaggio è prevista nell’art. 648 quater c.p. un’ipotesi particolare di confisca. Infatti la stessa presenta la specificità di essere “pertinenziale” a tali reati, ossia può avere per oggetto solo i “beni che ne costituiscono il prodotto o il profitto, salvo che appartengono a persone estranee al reato“; inoltre nel caso in cui tale confisca “diretta” non sia possibile, è prevista anche quella per “equivalente“, avente per oggetto i beni in disponibilità al condannato per un valore appunto equivalente al prodotto, profitto o prezzo del reato.

Sul tema è emersa una questione che non trova però operatività per l’autoriciclaggio, in quanto l’autore del reato-presupposto e del riciclaggio coincidono.

Nello specifico ci si interroga se tale confisca per equivalente deve essere limitata al valore del vantaggio patrimoniale “effettivamente” conseguito dall’attività di riciclo, oppure se possa essere estesa all’intero provento derivante dalle operazioni poste in essere anche dall’autore del reato-presupposto.

Ritornando sull’esempio iniziale dell’usura, si rileva che l’usuraio potrebbe incaricare un terzo di investire gli interessi ottenuti da tale reato; conseguentemente si pone l’incertezza se tale soggetto estraneo all’usura possa o meno subire una confisca del proprio patrimonio fino al concorrere dell’intero disvalore dell’attività illecita.

La tesi che valorizza l’orientamento restrittivo è certamente da condividere (Cass. pen., sez. II, n. 19561 del 12.4.2022).

Infatti in assenza di una chiara posizione normativa, non risulta applicabile “il principio solidaristico” previsto dall’art. 187 co. 2 c.p., il quale è operativo solo tra concorrenti di uno stesso reato e nei reati di specie l’autore non deve essere concorrente per esplicita previsione normativa nel reato-presupposto, come risultante dalla formula presente nei testi di legge “fuori dei casi di concorso nel reato“.

Inoltre la confisca che comprendesse anche il profitto del reato-presupposto, presenterebbe certamente forte dubbi di compatibilità con “il principio di proporzionalità“, recentemente preso come riferimento per rimettere alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2641 cc. in tema di confisca per abusi di mercato; in particolare si afferma che l’estensione del “quantum confiscale” oltre il profitto del reato, assume necessariamente un carattere punitivo il quale. sommato alle pene elevate dei reati, diviene sproporzionato rispetto al reato commesso e quindi incompatibile con gli articoli 3, 27 co. 1, 42 e 117 della Costituzione (Cass. pen., ord. n. 8612 del 27.2.2024).

Tale rilievo se troverà accoglimento, potrà essere un punto di riferimento anche per la confisca in tema di reati reciclativi, se la tesi restrittiva in esame non dovesse trovare impiego nelle aule dei tribunali. 

In tema di riciclaggio, la confisca per equivalente del profitto del reato è applicabile solo con
riferimento al valore del vantaggio patrimoniale effettivamente conseguito dal “riciclatore” e non sull’intera somma derivante dalle operazioni poste in essere dall’autore del reato presupposto, poiché, non essendo ipotizzabile alcun concorso fra i responsabili dei diversi reati, la misura ablativa non può essere disposta per un importo superiore al provento del reato contestato. Cass. pen., sez. II, n. 19561 del 18 maggio 2022