I reati ambientali

Sommario:

  • 1=Introduzione.
  • 2=La nozione di “rifiuto”.
  • 3=Il deposito di rifiuti nel codice dell’ambiente.


1=Introduzione.

Nel nostro ordinamento “la tutela dell’ambiente” ha la finalità di garantire un ecosistema salubre per la vita degli individui; con la legge costituzionale n. 1 del 2022 tale protezione ha trovato esplicito riconoscimento negli articoli 9 e 41 della Costituzione.

In particolare, nell’art. 9 risulta che la salvaguardia dell’ambiente costituisce un principio fondamentale cui deve essere orientata l’azione dello Stato, assumendo di conseguenza un ruolo primario di protezione.

L’art. 41, invece, riconosce che “l’ambiente” costituisce uno degli elementi capaci di limitare l’iniziativa economica privata, insieme “alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana“. Infatti l’idea di svilupparsi economicamente a ogni costo è vista controproducente, in quanto può compromettere i beni di valore superiore indicati dalla norma tra cui è compreso anche “l’ambiente“.

In piena conformità con la funzionalità delineata, si pone la normativa penale che incrimina i fatti che possono nuocere alla salubrità ambientale, le cui principali norme di riferimento sono gli articoli presenti nel titolo VI bis del libro II codice penale e nel d.lgs. n. 152 del 2006 (codice dell’ambiente).

La normativa in esame, quando non si sono prodotti danni significativi, predispone strumenti per limitare l’irrogazione delle sanzioni, quale il sistema di estinzione dei reati tramite condotte riparatorie o tramite l’oblazione di una somma di denaro, l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto secondo l’articolo 131 bis c.p. e infine possono trovare applicazione in via residuale i procedimenti alternativi previsti dal codice di procedura penale.

Chi scrive preferisce non approfondire tali istituti, in quanto ognuno presenta caratteri altamente tipici, incrementati da orientamenti selettivi della giurisprudenza, che non possono essere certamente descritti in poche righe. La loro operatività potrà essere suggerita al cliente, solo dopo un esame del caso concreto, quando l’accusa è evidente e quindi non vi sono spazi difensivi per una contestazione.

Merita invece approfondire due argomenti che sono determinanti per capire il funzionamento della normativa in tema di ambiente, quale l’identificazione del concetto di “rifiuto” e la regolamentazione del relativo “deposito“.

2=La nozione di “rifiuto”.

Dalla lettura delle incriminazioni in tema ambientale si deduce agevolmente che hanno per oggetto principalmente i materiali riconducibili ad un “rifiuto“.

In particolare tale nozione trova il proprio fondamento testuale nella lettera a) dell’art. 183 del d.lgs. n. 152 2006, secondo cui è tale “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi od abbia l’intenzione od abbia l’obbligo di disfarsi“.

Dalla lettura della norma emerge una nozione che non riproduce un elenco dettagliato di materiali che possono ritenersi rifiuti, ma si concentra sull’inciso di “disfarsi di qualcosa“, il cui accertamento pertanto non può prescindere da una valutazione nel particolare che riconosca tale destinazione dismissiva del materiale.

In sede processuale tale volontà potrà essere provata sulla base della versione dei fatti predisposta dai testimoni, dai rilievi fotografici e dai verbali di ispezioni e di sequestri. A titolo esemplificativo, si riportano due casi che possono essere di riferimento per la riconducibilità della dismissione ad un illecito penale o amministrativo.

Il primo riguarda il titolare di un’impresa che è stato ritenuto responsabile del reato “discarica abusiva“, per avere accumulato in un terreno scarti di falegnamerie e lastre di ferro che “presentavano tracce di ruggine ed erano invase da erbacce non rimosse“; inoltre il materiale era accumulato in modo disordinato e occupava 500 metri quadri. La giustificazione della condanna per il reato di discarica si è principalmente fondata sull’estensione dell’area destinata al deposito, sull’eterogeneità e sul degrado del materiale che non si presentava certamente nelle condizioni per un immediato riutilizzo e pertanto era certamente riconducibile ad un “rifiuto” (Cass. pen., sez. III, n. 30.583 del 11.7.2014).

La seconda vicenda ha per oggetto la sosta di un veicolo munito di targa in un area condominiale ma privo di motore. I vigili urbani durante i loro controlli ordinari notano l’auto e insospettiti avviano i relativi accertamenti che si concludono con la contestazione al proprietario dell’illecito di “abbandono di rifiuti” di cui all’art. 255 co. 1 del d.lgs n. 152 del 2006.

Sul tema dobbiamo ricordare che un veicolo è “fuori uso” e quindi riconducibile ad un “rifiuto” se “vi sono elementi indicativi di una volontà di abbandono da parte del proprietario nonché l’inidoneità del mezzo a svolgere la funzione che le è propria“, risultando irrilevante la presenza o meno della targa (Cass. pen., sez. III, n. 6667 del 20.12.2011).

Nel caso di specie il proprietario dell’auto ha dimostrato che la sosta considerevole era da addebitarsi alle difficoltà nel reperire le parti di ricambio per il relativo ripristino e non certamente in vista della futura demolizione del veicolo; inoltre l’auto è risultata d’epoca e con un valore economico importante, circostanze che nell’insieme hanno giustificato l’annullamento della sanzione, in quanto il veicolo non era certamente un “rifiuto” ma “un pezzo da collezione“.

Si specifica che in questo caso la pena sarebbe stata solo di natura pecuniaria, nell’eventualità in cui le controprove fossero state prive di fondamento, in quanto il soggetto agente è un privato e per l’abbandono di rifiuti il nostro ordinamento prevede una sanzione detentiva solo se commesso da un titolare d’impresa (art. 256 co. 2 cod. amb.). Il motivo di tale diverso trattamento è la presunzione di minore incidenza sull’ambiente, se la condotta è posta in essere fuori da un’attività qualificata.

3=Il deposito di rifiuti nel codice dell’ambiente.

Come anticipato in questo terzo paragrafo, concentriamo l’attenzione sul concetto di “deposito” di rifiuti, in quanto tale nozione è al centro della normativa presente nel codice dell’ambiente con norme regolamentari di non facile interpretazione.

Preliminarmente si parla di deposito “controllato o temporaneo“, quando i rifiuti sono raggruppati prima dello smaltimento nel luogo in cui sono stati prodotti. Il deposito in questione non richiede un’autorizzazione preventiva, ma il rispetto delle condizioni temporali e quantitative previste dalla normativa, come, per esempio, il raggruppamento per “categorie omogenee” e per un tempo limitato di giacenza (art. 183 bb) cod. amb.).

Si prevede inoltre il “deposito preliminare” e “la messa in riserva” da parte dell’art. 183 lett. aa) cod. amb., le quali sono attività proprie della fase di stoccaggio con l’unica differenza che il primo è finalizzato allo smaltimento, mentre la seconda al recupero dei rifiuti. Entrambe richiedono una preventiva autorizzazione in assenza della quale costituiscono il reato di cui all’art. 256 co. 1 cod. amb.

Infine nell’artt. 255 e 256 cod. amb. risultano presenti l’espressioni “deposito incontrollato” e di “abbandono” di rifiuti puniti entrambi penalmente, i quali hanno in comune il mancato rispetto della normativa prevista dal codice e la loro “occasionalità” rispetto al reato di discarica abusiva, mentre si distinguono per l’atteggiamento dismissivo dell’agente; infatti per deposito “incontrollato” si indicano i casi di momentanea collocazione di un rifiuto in un certo luogo, in attesa di ulteriori operazioni da svolgersi su esso, circostanza quest’ultima estranea “all’abbandono“, in cui il rifiuto è definitivamente rilasciato dell’ambiente.

In merito all’estinzione dei reati in esame per prescrizione e quindi in seguito al decorso del tempo, risulta che il “deposito incontrollato” ha carattere permanente, quando tale attività è antecedente a quella di recupero o smaltimento di rifiuti; conseguentemente il termine di prescrizione inizia a decorrere solo con la dismissione del sito o la bonifica dello stesso.

Invece il reato di “abbandono di rifiuti” è ritenuto istantaneo con effetti eventualmente permanenti quando tale attività è espressione di una volontà “esclusivamente” dismissiva del rifiuto che si esaurisce quindi con tale comportamento; pertanto il termine di prescrizione decorre dallo stesso giorno della consumazione del reato.

Tali principi hanno trovato operatività in una vicenda processuale, che vede coinvolta la dirigenza di un’azienda. In particolare, viene deciso di cambiare il luogo della sede produttiva, tuttavia si omette di rimuovere dal precedente stabilimento i residui edilizi derivati da una ristrutturazione risalente al passato. In presenza di tali caratteri si è ritenuto che il reato doveva ritenersi prescritto; infatti con l’abbandono dell’immobile la prescrizione è da ritenersi comunque interrotta e quindi il termine iniziale della stessa doveva farsi decorrere da tale momento; ciò ha portato a riconoscere che l’estinzione del reato era maturata addirittura in epoca precedente rispetto alla pronuncia della condanna primo grado (Cass. pen., sez. III, n. 16.354 del 21.2.2023).

Esprimendo le nostre conclusioni sulla tematica, possiamo rilevare che la normativa ambientale impone degli oneri che sono certamente impegnativi per i titolari dell’imprese. Nell’eventualità in cui si presentino delle accuse di rilievo penale, il contributo del difensore è essenziale per contestarle e indirizzare il cliente verso la strada più favorevole offerta dall’ordinamento.

Il reato di deposito incontrollato di rifiuti di cui all’art. 256, comma 2, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152,
può avere natura permanente, nel caso in cui l’attività illecita sia prodromica al successivo
recupero o smaltimento dei rifiuti, caratterizzandosi invece come reato di natura istantanea con effetti eventualmente permanenti, nel caso in cui l’anzidetta attività si connoti per una volontà esclusivamente dismissiva del rifiuto, che esaurisce l’intero disvalore della condotta. (In motivazione, la Corte ha precisato che per stabilire la natura del reato è necessario tener conto
delle circostanze del caso concreto, potendo essere indici rivelatori della permanenza la
sistematica pluralità di azioni di identico o analogo contenuto, la pertinenza del rifiuto al circolo
produttivo dell’attività imprenditoriale e la reiterata utilizzazione di un unico sito quale punto di
rilascio dei rifiuti).
​Cass. pen., sez. III, n. 8088 del 7 marzo 2022